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L’amico di famiglia – Paolo Sorrentino

Creato il 21 ottobre 2014 da Maxscorda @MaxScorda

21 ottobre 2014 Lascia un commento

L'amico di famiglia
Geremia, l’attore Giacomo Rizzo, e’ un usuraio sepolto nell’Agro Pontino, un personaggio squallido, sporco, laido come del resto il suo ruolo impone, principiando dall’aspetto come chiara espressione della bruttura interiore.
Vive con la madre laida quanto lui, una vecchia spaventosa che si fa servire e riverire in spregio al mondo e a se stessa. Uomo intelligente non c’e’ dubbio, d’insospettata cultura umanistica acquisita attraverso esperienza e capacita’ di leggere l’animo umano piuttosto che libri e trattati.
Uomo orrendo e in apparenza indistruttibile ma con anelli deboli nella catena che lo vincola a questa terra: l’avidita’ come prevedibile e la passione per le donne, passione che sino ad un certo punto non si scontra col mestiere. Ha un amico, o qualcosa di molto simile, quel Gino che sogna l’America andando vestito da cowboy, un uomo che ha perso la donna che ama e non riesce a distanza di anni a farsene una ragione.
In fondo egli e’ una specie di coscienza buona di Geremia o almeno un piccolo freno alla sfrontata avidita’ del vecchio. Il fatto e’ che arrivera’ Rosalba, Laura Chiatti, che da vittima si trasformera’ in carnefice e nel cambio di ruoli, la storia del film.
Ahia. Lo dico cosi’, come scoprire che la piccola crepa nel muro si e’ purtroppo fatta buco. Gia’ da questo suo terzo film, coi primi segnali gia’ dal precedente "Le conseguenze dell’amore" appare evidente quella che possiamo definire la sindrome di Salvatores, con Fellini come possibile precedente illustre.
Ad un certo punto nei registi piu’ dotati, perche’ senza alcun dubbio sia Salvatores che Sorrentino lo sono, scatta una perdita di equilibrio che dipende forse dal sentirsi dire "uno come te puo’ fare qualsiasi cosa", il che in parte e’ vero ma esserne in grado non significa che poi qualsiasi cosa la si debba fare per davvero. Percio’ a questi registi accade che lentamente diventano sempre piu’ onirici, i loro personaggi macchiette inesistenti nella realta’ dei fatti, i dialoghi didascalici talvolta ammantati dall’aurea nobile dell’aforisma che regala grandi verita’ a noi miseri mortali. Non sto dicendo sia sbagliato, dico solo che stando a testo e stile, "L’amico di famiglia" dista da "L’uomo in piu’" la stessa misura che intercorre tra "Mediterraneo" e "Denti" del gia’ citato Salvatores.
Detto cio’ ognuno decida quanto possa essere di suo gusto. A me e’ piaciuto perche’ so apprezzare le bellissime confezioni anche se dentro il regalo non e’ all’altezza dell’involucro e poi ancora una volta la colonna sonora di Teardo, scuderia Fandango guarda caso, ha un suo perche’. Per il resto c’e’ poco da dire, tecnicamente non si discute, primi accenni da Lynch de noantri ,col testo che inizia a restituire alcune rate del prestito dovuto agli "amici" ma complessivamente  vi sono buone cose. Dal lato attoriale Bentivoglio non mi esalta, la Chiatti non finisce piu’ e per Giacomo Rizzo, indubbiamente bravo, e’ il ruolo della vita.
Interessante ma siamo gia’ nel regno delle favole.

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