L'amico ritrovato

Creato il 23 settembre 2013 da Presidenziali @Presidenziali
Partendo dal presupposto che la filmografia di Ettore Scola costituisce il mio dna di cinefila; che il suo C'eravamo tanto amati, è il film che mi ha fatta appassionare alla settima arte; che Una giornata particolarealmeno una volta all'anno lo rivedo con la stessa emozione della prima volta; che come mi commuove La famiglia, nessun film ci riuscirà mai e che quando il Maestro ha dichiarato che non avrebbe più preso la cinepresa in mano, ho tenuto il lutto per diverso tempo, ecco, premettendo questo, potrete immaginare la mia felicità quando ho saputo di questo suo nuovo film e con quanta ansia e aspettative io l'abbia atteso.Capirete allo stesso modo, che sarebbe per me difficile, se non addirittura impossibile essere totalmente obiettiva o –  sia mai –  avere delle riserve. Perché, ragazzi, stiamo parlando di Ettore Scola, che racconta Federico Fellini! Cioè, l'apoteosi del gusto! Cosa si potrebbe volere di più?Mi sono quindi catapultata in sala appena è uscito, come i bambini la mattina di Natale corrono a scartare i regali sotto l'albero. Allora, iniziamo a “scartarlo” questo Che strano chiamarsi Federico - Scola racconta Fellini. Innanzitutto Scola non racconta Fellini, bensì racconta il suo Fellini. Un'operazione tutta soggettiva, nostalgica e affettuosa, come può esserlo solo l'omaggio di un amico e ne emerge il ritratto tutto personale di un uomo, un artista, un adorabile bugiardo e, a modo suo, un inguaribile Pinocchio mai cresciuto.Ripercorriamo quindi la vita del regista di 8 e ½ da quando arrivato a Roma giovanissimo, trova lavoro come disegnatore presso il giornale satirico Marc’Aurelio, frequentato all’epoca da quelli che sarebbero diventati di lì a breve i migliori sceneggiatori e autori del panorama italiano e trampolino di lancio di moltissimi talenti, non ultimo proprio Scola. Assistiamo al racconto della loro amicizia formatasi negli anni, il bar notturno, il bagno Cobianchi, le facce viste, sviste, amate e detestate, e i volti immateriali, le grandi scoperte e i rivolgimenti storici. I cambiamenti culturali e il rapporto denso e stratificato, con il cinema. Le scorrazzate interminabili in auto (la famosa Lincoln) in giro per la città alla ricerca di contatti con persone comuni, prostitute, vagabondi che sono l’occasione per affidare alla vera voce del regista – carpita da alcune interviste – i suoi pensieri sull’arte, sul cinema, sulle donne. Da quel girovagare i due trovavano gli spunti per la creazione di storie, personaggi, battute e situazioni che poi inserivano nei loro capolavori, cucite addosso ai loro giganteschi attori. Il tutto condito con alcuni documenti d'epoca – i provini di Sordi, Gassman e Tognazzi per il Casanova, sono quanto di più divertente e meraviglioso abbia visto al cinema negli ultimi anni. Scola riesce a oliare molto bene i passaggi da un linguaggio all’altro, dalla fiction al documentario, e costruisce una narrazione levigata e fruibile. E nella sua voce inconfondibile, risuonano come dolci note, la malinconia e il dolore per la perdita di un amico che in qualche modo però continua a vivere, con la sua voglia di inneggiare alla vita e all’arte, di salire alla fine, su una giostra. Per cui, nonostante alcune scivolate – gli attori giovani piuttosto acerbi e una retorica forse schivabile ma comunque leale – (è pur sempre l’opera di un vecchio, grande Maestro ma, appunto, lontano dal cinema da anni) si esce dalla sala consapevoli che ci è stato fatto un grande dono. Di quelli preziosi, che rimangono per sempre e che non saremo mai in grado di contraccambiare.

voto 7voto redazione
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Ang: 6.5

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