L’amore bugiardo – Gone Girl

Creato il 08 maggio 2015 da Nehovistecose

(Gone Girl)

Regia di David Fincher

con Ben Affleck (Nick Dunne), Rosamund Pike (Amy Elliott-Dunn), Carrie Coon (Margo Dunne), Neil Patrick Harris (Desi Collings), Tyler Perry (Tanner Bolt), Kim Dickens (Detective Rhonda Boney), Patrick Fugit (Detective Jim Gilpin), Emily Ratajkowski (Andie Fitzgerald), Missi Pyle (Ellen Abbott), Lisa Banes (Marybeth Elliott), David Clennon (Rand Elliott).

PAESE: USA 2014
GENERE: Thriller
DURATA: 149′

In un giorno come tanti, la bella Amy scompare. Il marito Nick sembra nascondere qualcosa. Che sia stato lui? O forse si tratta di un elaborato piano per incastrarlo?

Tratto da un romanzo omonimo (2012) di Gillian Flynn, anche sceneggiatrice. Un inquietante, agghiacciante, originale thriller di ambiente familiare che diventa una (riuscita) metafora del narcisismo e della malignità umana. Non solo. Hitchcockiano nella creazione della suspense e nel continuo ribaltamento dei punti di vista (chi è il “bravo” per cui fare il tifo?), ma anche nel tratteggiare l’incubo di un uomo che non può provare la propria innocenza, è un saggio antropologico sull’incapacità – o sarebbe meglio dire il NON VOLERE – dei media (di TUTTI i media, anche, o soprattutto, il cinema) di raccontare la verità. E le frecciate sullo strapotere della TV e su ciò che resta dell’american dream vanno a segno. Tutte. Film in cui la violenza, tolto uno scoppio nel sottofinale (ma è necessario a fini simbolici), è totalmente assente, o meglio, è più psicologica che fisica, dunque più sottilmente inquietante. Ottimo Affleck nei panni dell’americano medio un po’ squalliduccio e perfetta la Pike nel ruolo di una spietata Lady MacBeth che passa con disinvoltura da dolce e indifesa vittima della vita ad assassina sanguinaria, lucidamente folle, diabolicamente geniale. Il suo è uno dei personaggi femminili negativi più potenti che il cinema USA abbia partorito negli ultimi anni.

Entrambi, comunque, non acquistano mai una vera (nel bene e nel male) grandezza tragica perché sono esseri di raro squallore, seppur per motivi diversi. Nonostante l’indubbio talento, Fincher viene ancora scambiato per un regista classico, “invisibile”. Sbagliatissimo: il suo è uno stile sobrio ma originale fatto di scarti, divagazioni, ellissi, uno stile in grado di ribaltare i dettami hollywoodiani (basti vedere come viene beffardamente riletto il concetto di lieto fine) e di rendere alla perfezione l’atmosfera soffocante ambientando due ore e mezza di film quasi interamente in interni lussuosi e in apparenza sani. Sbaglia solo due cose: a) butta dentro troppi sottofinali; b) attribuisce a Amy una visione di insieme così lucidamente ampia da giocarsi quasi la verosimiglianza. Fotografia perfetta, ingrigita come i personaggi, di Jeff Cronenweth, e ottime musiche di Trent Reznor dei Nine Ninch Nails e Atticus Ross. Un vero e proprio horror quotidiano, di quelli che lasciano senza parole.



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