L’amore che fa male

Da Psytornello @psytornello

Carlotta arriva in studio con gli occhi gonfi di lacrime. Quando le chiedo cosa la conduca da me scoppia in un pianto disperato e mi comunica che, da quando 6 mesi fa ha deciso di lasciare il suo compagno Rodolfo, la sua vita è diventata un vero inferno. Lui non si rassegna e, nonostante gli sia stato chiaramente detto che la storia è finita, continua in maniera assillante a cercare un ricongiungimento. Le chiedo perché abbia deciso di lasciarlo e mi risponde che la relazione era diventata soffocante. Lui era sempre stato molto dolce e protettivo con lei e proprio questo l’aveva fatta innamorare ma con il passare del tempo si era resa conto che Rodolfo si comportava con lei in modo piuttosto morboso. Pian piano aveva cominciato a controllare i suoi spostamenti, a chiederle chi vedesse e in quali occasioni. Inoltre la chiamava più volte al giorno con la scusa di sentirla ma in realtà voleva essere sicuro che lei stesse effettivamente facendo quanto gli aveva detto al mattino, prima che si salutassero per andare al lavoro. Con il tempo le cose non avevano fatto che peggiorare e Carlotta aveva cominciato a sentirsi letteralmente soffocata da questa relazione. Una sera, per una serie di eventi inattesi, era arrivata a casa mezz’ora dopo rispetto al solito e lui l’aveva verbalmente aggredita chiedendole dove fosse stata e perché non lo avesse avvertito del ritardo. Le spiegazioni non gli erano sembrate sufficienti e così, oltre ad insultarla, l’aveva pesantemente strattonata procurandole dei lividi sulle braccia.

Carlotta si era molto spaventata e aveva così deciso, esasperata, di interrompere la relazione e di tornare a casa dai suoi. Da quel momento, Rodolfo aveva preso a chiamarla ripetutamente al cellulare, a mandarle anche 200 messaggi al giorno tutti i giorni, chiedendole di tornare e minacciando anche il suicidio. A ciò si erano aggiunti gli appostamenti davanti al suo ufficio in modo da riuscire a parlarle prima che lei entrasse al lavoro o a fine giornata. Carlotta aveva cercato di spiegargli che non intendeva più continuare la storia ma Rodolfo rispondeva che era certo del suo amore e che pensava che lei volesse solo punirlo.

Carlotta mi confessa di sentirsi costantemente in ansia, braccata da lui che la segue e si fa trovare ovunque. Mi dice anche che i suoi ultimi messaggi hanno assunto un tono molto più aggressivo e che alcuni di questi rappresentano delle vere e proprie minacce per la propria incolumità e quella dei familiari. E’ sconvolta, attanagliata dall’ansia e da tempo non esce più nemmeno con le sue amiche, un po’ per paura di trovarselo di fronte all’improvviso, un po’ per un sentimento di vergogna. L’idea di rivolgersi alle Forze dell’Ordine non l’ha nemmeno sfiorata perché non vuole metterlo nei guai, né rischiare ritorsioni.

Perché nel caso di Carlotta possiamo dire che ci troviamo dinnanzi ad una vittima di stalking? Perché i comportamenti messi in atto da Rodolfo sono:

- intenzionali;
- perpetrati nel tempo, ripetuti costantemente (nel caso descritto si tratta di ben 6 mesi) e in qualsiasi momento della giornata;
- indesiderati, inopportuni e limitanti della vittima (che vive in un costante stato di angoscia e tende ad isolarsi);

Come si può evincere dalla storia di Carlotta, Rodolfo rifiuta di essere rifiutato e i tentativi di lei di parlargli e di spiegare i motivi che l’hanno portata ad interrompere la relazione, anziché indurlo a rassegnarsi, alimentano le sue speranze. Infatti, quando lo stalker  riceve risposta alle sue chiamate o ai messaggi pressanti, fantastica che una possibilità di ricongiungimento esista davvero: “Se non tenesse a me, mi avrebbe ignorato“.

Perché questo comportamento è patologico? Perché, sebbene una separazione possa essere  molto dolorosa, chi subisce un abbandono ad un certo punto accetta la realtà dei fatti e decide di andare avanti. Solitamente è fisiologico che nelle prime due settimane ci sia un tentativo di ricucire i rapporti con l’ex e si provi a mantenere i contatti. Trascorso questo periodo e dinanzi ad una chiara volontà di chiusura da parte dell’altra persona, il soggetto che è stato lasciato allenta pian piano “la presa” arrendendosi all’evidenza. In casi di stalking avviene l’opposto: lo stalker non accetta la fine della relazione, è convinto che l’ex partner abbia troncato i rapporti perché pressato da altri (amici o familiari). Comincia così a “tartassare” la sua vittima in preda ad una vera e propria ossessione.

Sfatiamo alcuni miti relativi allo stalking

  • Lo stalking è messo in atto solo da uomini verso donne. Falso.
    I comportamenti pressanti possono provenire anche da donne (se pur in numero ridotto)
  • Lo stalking è relativo solo alle relazioni amorose. Falso.
    Esiste stalking anche nell’ambito lavorativo (ad es. se un soggetto si sente vittima di un’ingiustizia), nelle amicizie o nelle relazioni idealizzate, vissute come reali nella propria mente (vedi stalking nei confronti di cantanti o personaggi dello spettacolo).
  • Essere gentili con lo stalker può dissuaderlo dal continuare ad essere pressante. Falso.
    La vittima spesso non vuole essere scortese nei confronti del suo persecutore, per non ferirlo e per paura di possibili ritorsioni ma in realtà questo atteggiamento peggiora la situazione perché lo stalker si illude così che sia ancora possibile intrattenere una relazione.
  • Lo stalking è perseguibile. Vero.
    Lo stalking è reato dal 2008, grazie alla legge Carfagna/Alfano che punisce chi si rende colpevole di “minacce reiterate o molestie con atti tali da creare nella vittima un perdurante stato di ansia o paura. O un fondato timore per l’incolumità propria o di persona a lei cara. O ancora la costringa ad alterare le proprie abitudini di vita” (art. 1).

Prossimamente torneremo a parlare di Carlotta e di cosa si sta facendo per lei. Approfondiremo l’argomento cercando di metterci non solo nei panni delle vittime di stalking ma anche in quelli degli stalker, per capire come sia possibile aiutare entrambi. Vedremo anche se è possibile prevenire l’esplosione del fenomeno e in che modo.

Nel frattempo, se qualcuno di voi volesse raccontare la propria esperienza (diretta o indiretta) sappia che può farlo in tutta libertà… e in assoluto anonimato!


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