“…E’ arrivato il Carnevale a Venezia,e Tristano è partito da Firenze per stregare la sua Francesca,giunta in città con le sue dame di compagnia.
Dal tetto di una vecchia stamberga,indossando la mia bella maschera di ceramica,li vedo,raggianti,che passeggiano inconsapevoli nel magico arcobaleno colorato di una Venezia illuminata dalla luna della sera ed allietata dai rumorosi canti dei giullari di strada.
Ricchi signori,con al seguito cavalieri e servitori si muovono a passo di danza,in ricche e vistose stoffe di seta preziosa.Donne e uomini qualsiasi,che mangiano dolciumi e ballano e poveracci di strada,con poco più che vecchie pezze rammendate come costumi,ma felici e ridenti per la possibilità,almeno per la settimana del Carnevale,di potersi distrarre dalle sventure della propria esistenza.
Mentre bevo questa nuova e strana bevanda appena importata dall’Est,siddetta thè,scorgo il fiero Tristano nella sua veste color vermiglio e smeraldo,farsi strada verso l’ammaliata Francesca,distratta dai sonetti dei menestrelli di strada,folgorante,in una chioma castana profumata ed ornata con tralci di peonia,tale da stordire perfino i scellerati tagliaborse intenti a ripulire con cura le tasche dei signori piùingenui.
Qualcosa afferra la lama gelida dentro di me,poeta girovago cresciuto nelle corti italiane. E lo sguardo del Tristano,bello come un dio,in quel suo mosso nero corvino,da fare impazzire nobili dame e demoniache cortigiane.
Conosco Tristano,disgraziato com’è,entrato sin da ragazzo a scaldare i letti delle giovani aristocratiche più ricche di Firenze,tipico,per un uomo della suo rango sociale. Eppure Tristano adesso è cambiato.
Temprato dalla sua precoce maturità forzata dalla sua vispa e feroce intelligenza e dagli aggressivi e straordinari eventi della sua vita,circondato dal suo affascinate ego,pari soltanto alla sua bellezza,s’è perduto in Francesca,la bella sua amata.
Io penso dunque,osservandoli, mentre s’avvicinano l’un l’altro,nulla di più semplice e meraviglioso dell’Amore,il Giovane Amore. Quello degli sguardi di due giovani folli,dei due innamorati,con maschere che lasciano intravedere la luce scintillante dei loro occhi.
Dei baci rubati danzando invisibili tra la folla distratta,delle carezze sotto l’albero bianco del nevischio di Piazza San Marco bagnato dalla luce dalle stelle del cielo,delle spire della pioggia di due volti felici e sorridenti,di acqua fresca che lenisce il ricordo e la distanza adesso finalmente terminata; di lettere,corse e romantica sensualità.
Le labbra di Tristano accecano furiosamente gli occhi dell’anima di Francesca che sfiorano dolcemente,quasi fossero miele selvatico, quelle di Tristano,in un bacio lungo l’eternità del fuoco dello spirito,inestinguibile,imperituro.
Io,poeta vissuto,rimango euforicamente trovato da questa immagine idilliaca,contornata dal Carnevale veneziano; un’immagine conosciuta,quella dell’Amore,fin dai tempi più remoti, ma che ancora,dopo secoli e secoli,e carne,sangue,scienza e progresso,lascia estaticamente atterrito il più grande dei poeti.
Io sono Galvano,e vi racconto di Tristano e Francesca…”
di Giuseppe Ruggero Sabella All rights reserved