Nel raccontare le storie incrociate di personaggi in preda alla sindrome amorosa, soprattutto nella sua valenza meno epicurea, la regista si rifugia nelle atmosfere di quel melò italiano riportato in auge da Ferzan Ozpetek. Non un male se la presenza di questi stilemi fosse reinterpretata in chiave personale. In questo caso invece succede il contrario, con la matrice originale riproposta senza alcuna variazione. Personaggi smarriti e confusi, convivenza di tradizione e rinnovamento, la condivisione del dolore come unico placebo, ancora una volta resa attraverso l'immancabile convivio di famiglie allargate, sono i topos di una lezione imparata a memoria. A farne le spese sono soprattutto i personaggi, intenti a ripetere cose viste altrove - Nicole Grimaudo seppur convincente ripete le temperature e gli sguardi di quello da lei interpretato in “Mine vaganti” – oppure ad enfatizzare una diversità, quella di Germana, il personaggio di Stefania Rocca, ribadita in ogni momento dai campi lunghi sulle mise improbabili e su una camminata resa impacciata dalla presenza di tacchi chilometrici. Un film in chiaro scuro dal quale però si può ripartire, a patto di cominciare a camminare con le proprie gambe.
Nel raccontare le storie incrociate di personaggi in preda alla sindrome amorosa, soprattutto nella sua valenza meno epicurea, la regista si rifugia nelle atmosfere di quel melò italiano riportato in auge da Ferzan Ozpetek. Non un male se la presenza di questi stilemi fosse reinterpretata in chiave personale. In questo caso invece succede il contrario, con la matrice originale riproposta senza alcuna variazione. Personaggi smarriti e confusi, convivenza di tradizione e rinnovamento, la condivisione del dolore come unico placebo, ancora una volta resa attraverso l'immancabile convivio di famiglie allargate, sono i topos di una lezione imparata a memoria. A farne le spese sono soprattutto i personaggi, intenti a ripetere cose viste altrove - Nicole Grimaudo seppur convincente ripete le temperature e gli sguardi di quello da lei interpretato in “Mine vaganti” – oppure ad enfatizzare una diversità, quella di Germana, il personaggio di Stefania Rocca, ribadita in ogni momento dai campi lunghi sulle mise improbabili e su una camminata resa impacciata dalla presenza di tacchi chilometrici. Un film in chiaro scuro dal quale però si può ripartire, a patto di cominciare a camminare con le proprie gambe.
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