L’amore non c’entra

Da Maddalena_pr

CHE POI: BRAVI SONO ANCHE BRAVI (A VOLTE). È CHE IO, IN QUESTE GIORNATE SENZA PAUSA, LI HO SEMPRE DAVANTI.
ARRIVO A SERA CHE C’HO LA SEEF (SINDROME DA ECCESSIVA ESPOSIZIONE AI FIGLI). ORMAI ANZICHÉ L’ICE CREAM GLI DO L’I SCREAM.

D. ha messo su qualche chilo. È vero. Lei, A., l’ho vista solo un paio di volte. Tutto sommato li trovo bene, a parte il sudore.
“Allora, com’è la vita con due gemellini?”

Passeggiamo, i loro due piccoli nel passeggino doppio, i miei due grandi accanto a piedi, Isabelle in un altro passeggino in prestito che le piace più del nostro.
La tata li ha mollati sul più bello, ora hanno un piccolo aiuto mezza giornata, A. lavora, se un bimbo ha bisogno sta a casa: “Ti dico la verità, è dura. Quando torno dal lavoro ho più voglia di vederli, me li godo di più. Ma quando sono a casa… vengono da me anche se c’è la baby-sitter, non posso fare niente.”

Le sue parole non mi scompigliano. Ma è quando, più tardi, salgo in casa loro e trovo un divano inaccessibile, sotto un nubifragio di oggetti e giochi per i piccoli, che ho la misura della loro fatica. Devo dirlo: quel divano mi è rimasto impresso.

Non posso sapere quanto sia ristoratore andare in ufficio, perché il mio ufficio è il tavolo della cucina. Ma quell’annaspare in cerca di una presa d’aria… come dire: sounds familiar. Soprattutto adesso, lasciata sola da un’incosciente “sorella-scuola” che ha chiuso per ferie: avevo ragione a prevedere grandi, grandi fatiche. Forse è fin peggio di quanto mi aspettassi.

Isabelle è ancora piccola, dipende da me, posso “gestirla”: decido più o meno io quando e cosa fare. E, soprattutto, dorme. Inutile prenderci per il c.: il sonnellino dei piccoli è la risurrezione dei grandi.

Ma Patrick e Sarah sono già fuori controllo: giocano quando vogliono, a quello che vogliono, rispondono, non rispondono, riordinano (???), non riordinano. Chiedono: in continuazione.

Alla conquistata autonomia non si accompagna però il buonsenso per notare che, a quella loro insistenza, la madre non può rispondere fulminea perché piegata a novanta a pulire il succo rovesciato. Che ci metterà cinque minuti a prendergli la tal scatola in alto o ritrovare quel foglio disperso perché impegnata a pulire qualche sedere. Che per raggiungerli in camera e staccare quei due pezzetti di lego che non si schiodano, deve prima assicurarsi che il tavolo al cospetto di Isabelle non abbia brik di succhi di frutta, cartoni di latte aperti o collezioni di acquarelli o perline. Oppure caricarsi in braccio dieci chili e mezzo di ciccetta sudata.
In effetti, mi domando perché autonomia e buonsenso non si sviluppino parallelamente. Un altro piccolo baco del Sistema-Natura.

A.si rincuora ascoltandomi: “Mi sembra di passare il tempo solo a pulire e riordinare.”
“Certo, lo dico sempre: sai come hanno fatto a inventare Cenerentola? Hanno preso una mamma, diviso per cento, ed è uscita Cenerentola.”

Che poi: bravi sono anche bravi (a volte). È che io, in queste giornate senza pausa, li ho sempre davanti. Davanti quando giochiamo (o giocano), davanti quando mangiamo (o mangiano), davanti quando parliamo, leggiamo. Quando, semplicemente, “esistiamo”. Davanti anche se sono di schiena. Arrivo a sera che c’ho la SEEF (Sindrome da Eccessiva Esposizione ai Figli). Ormai anziché l’ice cream gli do l’I scream. Rincasa Mathias e glieli consegno. Ho bisogno di non vederli. Per un po’.
“L’amore non c’entra – rassicuro A. – è che è proprio fisiologico.”
“Ah. Pensavo di essere l’unica…”

E allora lo ripeto: non sei l’unica, non sei la sola, non sei snaturata. Sei solo ubriaca. Ti serve un’aspirina, una nottata e un bicchier d’acqua.
Qualsiasi piacere è tale se ha dei limiti. Ti sfido a bere vodka per dodici ore di fila: poi dimmi come stai.

In fondo anche con l’uomo che ami: i primi tempi siete il dritto e il rovescio di un foglio. Ma dopo un po’ ti scolli anche, e allora cominci a scrivere una storia.

È tutto normale, ripeto: l’amore non c’entra.