L’amore non sa tutto

Da Maddalena_pr

MAGARI BASTA SMETTERE D’INTERROGARE. METTERSI IN MARCIA, A CASO. ANNUSARE. UNA STRADA O L’ALTRA, UNA DIREZIONE QUALUNQUE. IL RESTO È VAPORE. CHE POI SI DISFA.

Poi sono uscita.
Lo so, piove. Fitto e sottile come un’insistenza.

Il kway, l’ombrellino. Isabelle che guarda il mondo tra le gocce che ridono sul parapioggia del passeggino.
Penso a quando bastava uscire. Eri stufa, nervosa, sversa. C’avevi addosso il cappio di qualcosa che non era caduto nel verso giusto. Prendevi la porta, il vecchio walkman, le chiavi. E andavi. Nemmeno il cellulare. Guardavi l’ora in giro, sugli orologi appesi qua e là per la città, fermavi un passante e foravi il silenzio con tre parole semplici e sufficienti: sa le ore? Camminavi.

C’è voluta almeno mezz’ora. Incertezze ruvide tra nuvole che non si placano, la piccola che freme, Patrick che, per qualche oscura ragione, non sa più occuparsi coi giochi, rincorre ogni varco con un lamento, è infastidito da tutto, e più gli dai meno basta.
La verità è che in vacanza ti aspetti che siamo tutti più buoni. E lo siamo. La verità è che se non basta ci rimani di sasso. E allora insisti. E se insistere non basta, si fa pietraia. Che non sai più dove mettere i piedi.

Vorrei chiedergli cosa sia, questo malcontento: forse figlio di troppe aspettative. Forse ne ho troppe anche io. Forse basta l’amore, in fondo basta che sia amore. Ma io lo so com’è il suono dell’amore: somiglia alla voce ballerina dei bambini. Lo so, perché lo conosco. Io conosco quando trabocca di gioia, e se la gioia è pallida si sta a galla, si fluttua, però, nella serenità, ed ha un senso anche quella, serve a lavare gli occhi a riposare dall’entusiasmo pazzo, a sedare l’animo, raccogliere le dita attorno al fiore. So che serve anche il silenzio. Che per un po’ si scivoli nell’abitudine, la noia breve che apre ad altre scoperte. So perfino che inciampare nei lamenti, piccole battaglie, litigi tra fratelli, fa parte del gioco. Anche in vacanza.

Ma l’amore non sa tutto.
E io vorrei domandarglielo.

Allora sono uscita.
Poi sono uscita. Ho preso straducole a caso e trovato che mi somigliavano: un saliscendi senza promesse né pretese. Lingue di asfalto leggere nella pioggia: stavano.
Ho preso una via che saliva, un’altra, da lì, si diramava: volevo farle entrambe, ho scelto la prima. Arrivata al colmo, una frazione qui sopra, la strada s’incurva, piega ad anello, riscende.
Salgono vapori leggeri, la pioggia ha smesso, il campanile suona in basso. Un gatto attraversa la sera e fa sorridere Isabelle. Io guardo sotto, dove riconosco la strada che ho preso salendo, la diramazione dove non volevo scegliere. Sorrido anch’io: senza saperlo le ho fatte entrambe, è un anello inatteso, circolare e perfetto.

Magari basta smettere d’interrogare. Mettersi in marcia, a caso. Annusare. Una strada o l’altra, una direzione qualunque. Il resto è vapore. Che poi si disfa.