L'amore: una parola e un concetto spesso usato a sproposito.
Sempre più spesso, specialmente adesso che il teatro musicale sta dinuovo prendendo piede, mi capita di assistere a spettacoli dove il concetto di "Amore" è usato (ed abusato), spesso è addirittura scelto a fondamento e giustificazione delle azioni dei personaggi.
Vorrei far riflettere su questo.
L'uomo è fondamentalmente un animale e, come ogni animale, agisce in fuzione di poche regole semplici: tutte queste regole hanno alla base l'egoismo e l'istinto di autoconservazione.
In molti spettacoli a cui ho assistito, specialmente quelli a tema religioso o addirittura scritti e musicati da religiosi (qui i riferimenti a spettacoli in scena attualmente NON sono casuali), si sfrutta come motore del dramma il concetto stesso d'amore, concetto astratto (e "utile" a spiegare l'inspiegabile o il troppo complesso) che conoscono solo i filosofi (l'Amore unificatore di Empedocle) ed i religiosi (l' "Amore" di Gesù per gli uomini).
Tuttavia questo tipo di amore non esiste nella realtà "secolare", e non può essere utilizzato come base d'una trama, poiché (anche se stiamo parlando di vite di persone speciali) l'amore in sé, senza un oggetto o uno scopo preciso, è troppo vago per giustificarne le azioni.
Pensate alla differenza che passa tra uno spettacolo come "Godspell" e "Jesus Christ Superstar": pur trattando temi molto simili, l'uno riesce piuttosto "devozionale" e "oratoriale", l'altro riesce a coinvolgere lo spettatore perché cerca di modellare i personaggi dando loro uno scopo, delle giustificazioni e persino dei dubbi.
Frasi come "Imparare ad amare", "Lasciati guidare dall'amore", "Cercare l'Amore", "Se sei dannato è perché non sai amare" e compagnia cantante (letteralmente) sono carine, ma suonano leziose (e a me personalmente dànno fastidio).
Se in italiano (come in altre lingue) il verbo "Amare" è transitivo significa che abbia bisogno sempre di un oggetto su cui posarsi e di un buon motivo per farlo.
Per come la vedo io, l'amore degli uomini, come ogni cosa sulla terra, non è mai fine a sé stesso: è l'attaccamento a qualcuno o qualcosa, e a ciò che essa dà al soggetto "amante".
Per questo motivo accade che qualche bella bionda che non brilla per cultura, si innamori perdutamente del ragazzotto bruttarello dall'aria da intellettuale: perché in lui cerca ciò che a lei manca; oppure accade anche che la bellona di cui sopra cerchi pari requisiti, perché da questi cerca ciò che lei stessa offre.
Persino l'amore paterno si può vedere in quest'ottica:
L'affetto del genitore verso il figlio è una proiezione dell'amore del genitore verso sé stesso, poiché nel figlio il padre vede la possibilità di realizzare i sogni che, con molta probabilità, egli ormai non potrà più realizzare.
Ed è per questo che, generalmente, i genitori fanno di tutto per dare al figlio ciò che non hanno avuto loro, per citare Rigoletto:
"Solo per me l'infamia a te chiedeva, o Dio...
ch'ella potesse ascendere quanto caduto er'io... ".
Tutto questo non vuol dire che non si possa basare un'opera sull' "amore" verso un concetto astratto (come accade a màrtiri e patrioti), tuttavia, nello svolgersi della trama, quest'idea astratta deve assumere un forte peso o una giustificazione "reale" nella psicologia del personaggio, che deve essere ben "modellata" per non suonare pretestuosa.
Che io sappia, in nessun'altra lingua come in italiano il sentimento d'amore può assumere diverse sfaccettature; credo che il motivo dell' "appiattimento" del concetto di "amore" si debba proprio all'invasione culturale che stiamo avendo negli ultimi anni dal mondo anglofono.
A differenza dell'inglese, appunto, in italiano ci sono diversi verbi per descrivere diversi gradi di "affetto": "Volere bene a qualcuno" non è un concetto facilmente traducibile in un'altra lingua, ma in italiano si distingue nettamente dall' "Amare": "mi piace" dipingere, "Amo" la mia ragazza, e "voglio bene" alla mamma (a meno che non sia nel pieno del complesso d'Edipo).
E' per questo che l'italiano tende ad usare il verbo"Amare" molto raramente, e così, come nella vita, anche nella finzione di questa parola non si dovrebbe abusare.
Per i motivi indicati qui sopra, a mio parere, non si può basare un intero dramma e le azioni dei suoi protagonisti sul mero impulso d'un amore ideale (può sembrare un concetto ovvio, ma i fatti provano che non lo è).
Nei grandi spettacoli "classici" in cui il sentimento d'amore fa da motore, questo sentimento è sempre rivolto a qualcuno o qualcosa, ed oggetto dell'azione drammatica è la ricerca dell'unione, della vicinanza fisica (o anche ideale) d'un amante con l'altro:
Orfeo intraprende il suo viaggio nell'oltretomba per potersi RIPRENDERE Euridice.
Romeo e Giulietta durante tutto il dramma non fanno che cercarsi, e anche il darsi la morte è giustificato dal fatto di poter stare insieme almeno nell'aldilà, così Aida, Francesca da Rimini, Tosca ecc...
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