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L’anacronismo del pd ed il futuro di una eredita’ viva.

Da Lepicentro
Matteo Renzi scalpita da tempo per togliere il piedistallo a quelle statue che raffigurano (o sono?) gli attuali dirigenti del suo partito. Per adesso si è fermato sul predellino di Firenze, da cui tirare frecciate più robuste e autorevoli verso i marmi di Carrara. La sua parlata strascicata incarna la voglia di rinnovamento di tanti sostenitori piddini, la necessità di facce nuove, di un nuovo capitolo nella storia del più grande (in senso numerico) partito della Sinistra italiana.Tutto ciò è noto. Al momento, questo non ha scalfito di una virgola l’asset della nomenclatura della dirigenza PD. Ma cosa c’è dietro questa voglia di nuovo? Come mai sembra non bastare la fusione DS-Margherita, operata tra gli altri da chi poi è fuggito in fretta e furia (Rutelli) e da chi è stato affondato dalla sua stessa visione kennedyana, di fatto non approvata dai suoi elettori (Veltroni)?Perché l’identità del PD torna ricorsivamente a tentare di incarnarsi in un leader che la costruisca, o meglio che ne assembli i pezzi per farla assomigliare, anche asetticamente, a qualcosa di vagamente umano piuttosto che ad un mostruoso, sebben più romantico, Frankenstein? La risposta mi è suggerita da una delle consuetudini più catastrofiche della nostra società, nello specifico nell’ambito riguardante i rapporti di coppia. Avete presente due fidanzati tipo, da quattro o cinque anni insieme, da due conviventi e sull’orlo di un crisi di noia? Cosa fanno in molti casi per dare una soluzione a questo strascico snervante e ammorbante? Si sposano. Ecco, i DS e la Margherita mi pare abbiano fatto lo stesso, innescando una nuova ulteriore faticosa indefessa marcia con il fango fino alla cintura, senza sapere neppure dove stavano andando.In questo senso il PD non rappresenta proprio niente di nuovo, raffigurato su questo piano sociologico a forma di matrimonio. E proprio come ogni buon matrimonio all’italiana che si rispetti, non mancano gelosie, ceffoni, piccole punture per piccoli dolori vendicativi, sceneggiate, bugie, tradimenti, ecc.Come in un reality show, questa quotidiana anacronistica commedia delle parti è sotto gli occhi di tutti. E, visto che non bastava, arrivano anche gli altri partiti della corazzata anti-premier per fare di tutto ciò una bella famiglia allargata, un’orgia di compromessi, faticosa quanto disomogenea e difficilmente vincente. Meno male che almeno una parte di questa armata Brancaleone sta tentando di creare il famigerato “Terzo Polo”, che sembra tanto il titolo di un romanzo di Ken Follett. E forse questa è la cosa davvero più innovativa degli ultimi dieci anni: scardinare il fasullo bipolarismo italiano, rompere ipocrisie e maschere elettorali ed avviare la costruzione di un soggetto di centro che non sembri un po’ destra, né un po’ sinistra. E, appunto, la Sinistra che fine farebbe? È certo che se il terzo polo decollasse, diversi piddini non avrebbero motivo di resistere ai richiami melliflui da sirena del buon Rutellone che da là tenderebbe mani, braccia e pinna. Ma, come il divorzio per la coppia sopra descritta sarebbe un male foriero di due nuove vite potenzialmente migliori (non me ne voglia Giovanardi), così la Sinistra avrebbe davvero l’opportunità di darsi un’identità nuova, con buona pace di Renzi. Un avvertimento però: la Sinistra non può lasciare le massicce e radicali eredità politiche vive di Enrico Berlinguer, prima e Tom Benetollo poi. Il nuovo e le nuove facce, le loro proposte, la loro agenda, i loro DNA politici devono nascere da lì: altrimenti è bene che si facciano da parte subito.Nel frattempo, teniamo il lapis elettorale in una mano e con l’altra turiamoci il naso per non odorare questo groviglio di politicanti ficcatisi da soli nel cestino dell’organico per inseguire miopi e sterili convenienze personali o di rappresentanza.

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