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L’anello della repubblica… ovvero lo stato militare parallelo !!!

Creato il 25 luglio 2012 da Tnepd

L’ANELLO DELLA REPUBBLICA… OVVERO LO STATO MILITARE PARALLELO !!!

Intorno alle 9 di mattina del 16 marzo 1978, nella zona di via Fani, a Roma, ci fu un black out totale dei telefoni; e questo è un fatto. Il 15 agosto 1977, giorno della sua fuga, il criminale di guerra nazista Herbert Kappler era ricoverato all’ospedale Celio della capitale, al 3° piano. Assieme a lui, due pazienti molto speciali: il colonnello Amos Spiazzi e il capitano Salvatore Pecorella, entrambi coinvolti nel golpe Borghese; e questo è un fatto. Il 24 luglio 1981, il brigadiere Biagio Ciliberti prelevò l’assessore della Dc Ciro Cirillo, appena liberato, e lo portò a casa sua, isolandolo dal resto del mondo per mezza giornata. E questo è un altro fatto. UN NUOVO SERVIZIO SEGRETO – Sono fatti, di cui qualcuno, prima o poi, sarà costretto a darne conto. Ma sbuca sempre qualcuno di nuovo. A volte perché coinvolto in inchieste traverse; altre volte perché pentito; altre, ancora, per puro caso. Come ‘Anello’, un vero e proprio servizio segreto attivo in Italia dal secondo dopoguerra fino agli anni ‘80. Scoperto, appunto, nel 1996, tra le carte di un vecchio e malandato archivio del Viminale, in via Appia, a Roma. 256 fascicoli per l’esattezza, pescati da Aldo Giannuli, un perito del giudice istruttore di Milano Guido Salvini, per il quale stava facendo un’indagine sullo stragismo nero. Tutt’un tratto si è ritrovato tra le mani un appunto datato 4 aprile 1972 che recita pressappoco così: Questa è la storia di un servizio di informazioni che opera in Italia dalla fine della guerra e che è stato creato per volontà dell’ex capo del Sim Generale Roatta […]Compito del servizio fu sempre quello di ostacolare l’avanzata delle sinistre e di impedire una sostanziale modifica della situazione politica italiana   Tra quelle carte si giocano gran parte degli ultimi cinquant’anni della storia d’Italia. Stefania Limiti, giornalista dell’Unità, le ha catalogate, analizzate, contestualizzate e svelate nel suo ultimo libro, L’Anello della Repubblica – Ed. Chiarelettere. Per farla breve: dopo l’8 settembre in Italia si formano due Stati. La Repubblica Salò e il Regno del Sud. In questo contesto Mario Roatta, ex capo del Sim, il servizio segreto militare, e all’epoca capo di stato maggiore dell’esercito, costituisce un organismo segreto, sottoposto alle “informali” dipendenze del capo del Governo. Ne fanno parte circa 170 persone. Militari, politici, giornalisti e faccendieri d’ogni tipo. Il compito all’inizio è uno: impedire che i comunisti vadano al governo. In seguito la struttura si preoccuperà di condizionare il sistema politico con mezzi illegali e, più in generale, di svolgere i lavori più sporchi, quelli troppo compromettenti per i servizi segreti ufficiali.
“UN ORGANISMO A SE’ STANTE, CON COMPITI POLITICI” – «In Italia ci sono state molte organizzazioni segrete – spiega Stefania Limiti, l’autrice del libro – questa però è assolutamente particolare. È un organismo a sé stante, completamente clandestino: utilizza i mezzi e la logistica delle strutture ufficiali, ma ne è completamente staccato. Anche dal punto di vista delle finalità.
L’Anello è completamente differente dal progetto Gladio, per capirci. Questo ha dei fini militari ed è sorto sotto l’ombrello della Nato. Si tratta di un’organizzazione composta da uomini di fiducia che sarebbero dovuti entrare in azione nel caso di una fantomatica invasione russa. L’Anello non ha dei compiti propriamente militari. Svolge servizi informativi di tipo politico; fa pulizia, insabbia – continua la Limiti – E non è definibile come una struttura deviata. Questa nasce laddove più persone agiscono di comune accordo in funzione di scopi diversi da quelli ufficiali. In questo caso ci troviamo di fronte a una struttura a parte, non deviata. Ancora: le strutture deviate sono composte da personaggi dei servizi segreti stessi. In questo caso i protagonisti non hanno nessuna divisa. Basti pensare che Titta è un civile».  

L’AGENTE PIU’ SEGRETO DI TUTTI –

1977, LA FUGA DI UN SS MAI PENTITO – Col passare degli anni, la struttura messa in piedi da Roatta e guidata da Titta dà segni di notevole affidabilità, tanto da ricevere in appalto intere operazioni. Nel 1977, ad esempio, “nelle stanze del potere si discuteva di come sbrigare un compito imbarazzante: bisognava riconsegnare il detenuto nazista mai pentito Herbert Kappler alla Germania che, in cambio, avrebbe rimosso il veto per la concessione di un consistente prestito di denaro di cui l’Italia aveva un disperato bisogno. Tutta l’operazione fu affidata all’Anello: era troppo compromettente per essere assegnata ai servizi ufficiali”.
1978, “MORO VIVO NON SERVE PIU’ A NESSUNO” – E ancora. “Qualcuno sospetta che Adalberto Titta sapesse in anticipo che cosa sarebbe accaduto la mattina del 16 marzo 1978. […] Il giorno dell’agguato a Moro, intorno alle 9, ci fu un black out dei telefoni nella zona di via Fani. Titta e i suoi amici ‘erano in grado di provocare un black out alla rete telefonica nazionale’”. Ancora Titta riappare nei 55 giorni del sequestro Moro, questa volta nelle vesti di mediatore tra i vertici della Dc e Raffaele Cutolo, il boss della Nuova Camorra Organizzata cui il partito si rivolse per trovare il luogo in cui era tenuto il segretario Dc, salvo poi ritrattare il tutto e suggerirgli di farsi i fatti suoi. Il ruolo di Titta nell’affaire è rivelato da Michele Ristuccia, esponente dell’Anello: “Durante il sequestro, Titta mi disse di essere a conoscenza del luogo dove Moro era detenuto, lo aveva detto anche ai senatori Andreotti e Cossiga […] Quando informò i suoi referenti di essere in grado di intervenire in via Gradoli, ricevette un secco diniego da Andreotti, che, mi disse, gli fece capire che non era auspicabile una soluzione positiva del processo, la frase che ricordo distintamente è “Moro vivo non serve più a nessuno”.
 
UNO STATO PARALLELO OGGI? – Alla domanda se ancora oggi si possa parlare di esistenza di uno Stato parallelo, Stefania Limiti sospira: «Bella domanda. Abbiamo assistito a molti casi inquietanti, come la scoperta di un archivio segreto in via Nazionale. Non so se c’è possiamo dire che esista un vero e proprio servizio parallelo. Sicuramente sono accaduti dei fatti molto gravi. Si avvertono ancora grandissime resistenze affinché venga fatta luce sulla nostra storia. Vedi ad esempio la questione del segreto di stato. In base a una legge del 2006, devono essere desecretati i documenti vecchi di 30 anni. Ora, che potremmo finalmente consultare i materiali del 1978, sembra che i tempi di secretazione si stanno allungando. E non è certo un bel segnale»
Il libro si occupa di una notizia mai resa nota, che appare tanto antica quanto attuale. Antica perché si occupa di raccontare l’esistenza di un servizio segreto clandestino, l’Anello o Noto Servizio appunto, creato e protetto dal governo, responsabile della realizzazione di fasi e avvenimenti oscuri della nostra storia, dal dopoguerra ad oggi. Attuale, perché gli avvenimenti degli ultimi cinquanta anni, hanno influenzato tutta la storia della Repubblica e non possono essere dimenticati. Abbiamo rivolto alcune domande a Stefania Limiti al Festival del giornalismo d’inchiesta di Marsala: Quando e come è nata l’idea e la volontà di occuparti de l’Anello? Tre anni fa, per caso, un collega ricevette la notizia, ma non poteva occuparsene e mi incaricò di continuare al suo posto. All’inizio credevo fosse una cosa più grande di me, ma ho continuato e il lavoro si è ingrandito ed è degenerato. In che senso è degenerato? Nel senso che inizialmente non volevo o non credevo di dover finire a parlare di Br, (Brigate Rosse ndr), ma il lavoro di inchiesta mi ha portato lì. Alla fine unendo tutti i tasselli ne è venuto fuori un quadro completo, un filo che lega il fascismo alle continue ingerenze americane nella gestione della nostra politica, in funzione anticomunista. Da dove sei partita per le tue ricerche? Un testimone si è presentato e ha detto: “Ero un membro dell’Anello, io so e voglio parlare”. Cosa c’è di meglio per un giornalista di un testimone del genere? Ma non mi sono fermata lì, sarebbe stato troppo semplice. Le fonti cui l’autrice ha attinto nella sua attenta ricostruzione, sono infatti molteplici. Prima fra tutte il dossier ritrovato in un archivio del Ministero dell’Interno in Via Appia a Roma. Il giudice di Milano Guido Salvini, indagando sullo stragismo nero dal 1969 al 1974, incaricò infatti il perito Giannuli, di svolgere un’indagine che lo portò a scoprire per caso l’archivio dimenticato, definito poi “altamente tossico” per l’incredibile quantità di materiale sui misteri d’Italia che conteneva. Nel 2008 magistrati della procura di Brescia, nel giorno della terza riapertura del processo sulla strage di Piazza della Loggia, dichiararono di volersi occupare de L’anello, un servizio segreto parallelo che si sarebbe attivato durante i rapimenti di Moro, Cirillo e del generale americano Dozier oltre che della fuga di Kappler dal Celio. Ma un procedimento vero e proprio sul Noto Servizio o Anello non c’è mai stato per il semplice motivo che, come dichiara la stessa autrice, i magistrati, pur consapevoli della sua esistenza, arrivarono al punto di dover bloccare le indagini, non riuscendo più a distinguere se fosse qualcosa di illegale o meno. “Nasce come una specie di Cia all’italiana, pur essendo voluta da membri dello stato, doveva servire a svolgere i “lavori sporchi” e per questo era necessario staccarlo il più possibile dalla sfera istituzionale e non redigere un elenco dei suoi membri”. Se provate a cercare un’immagine o una foto di Stefania Limiti sul web incontrerete qualche difficoltà, ma la lettura del suo libro potrò aiutarvi a sapere qualcosa in più sul suo stile chiaro e lineare, con il quale ci racconta uno spaccato, quanto mai inquietante e nascosto della nostra storia. Patrizia Riso (pubblicato il 13 maggio 2009) Nel maggio del 1998 Aldo Giannuli, incaricato dal giudice Salvini di reperire documenti sulla strage di Piazza Fontana, rinvenne in un archivio del ministero dell’Interno, una nota informativa le cui prime righe recitavano
“Questa è la storia di un servizio informazioni che opera in Italia dalla fine della guerra e che è stato creato per volontà dell’ex capo del Sim, generale Roatta ..”.

Parliamo del “Noto Servizio” o “Anello”: un servizio segreto di cui ancora noi cittadini sappiamo poco e che in questo libro Stefania Limiti ha cercato di raccontarci.
Un libro frutto di un’intensa e complessa ricerca, partita dagli scatoloni lasciati dall’Ufficio Affari Riservati di Federico Umberto D’Amato in un deposito di via Appia, dall’armadio della Vergogna con le ante rivolte verso il muro, dalle poche testimonianze di coloro che ne han parlato, in merito ai tanti processi degli anni di Piombo, delle stragi, degli strani suicidi, delle morti inspiegabili. Dalle veline che la fonte “giornalista“, al secolo Alberto Grisolia, faceva sul “noto servizio” per conto del Viminale.
Perchè, così almeno emerge dalle ricerche, i vertici della DC sapevano: Alcide De Gasperi sapeva, Aldo Moro sapeva. Andreotti, che secondo alcuni fu l’unico vero referente politico del “noto servizio” sapeva. E sapeva persino Bettino Craxi, come rivela in una sua nota del 1991.

L’Anello della Repubblica è il congiungimento tra l’Italia fascista da cui saremmo dovuto uscire dopo il ventennio e i nuovi equilibri in cui l’Italia doveva rimanere. Gli equilibri di Jalta.

Lo stato a sovranità limitata, la doppia lealtà, o stato duale, come racconta Stefano Cucchiarelli nella postfazione del libro: dove apparati dello stato verivano in modo più o meno occulto organizzati, riciclando ex fascisti come Adalberto Titta o Junio Valerio Borghese, banditi come Salvatore Giuliano, Stefano Ferreri (presenti alla strage di Portella della Ginestra).In funzione anticomunista, inizialmente per impedire ad ogni costo l’insurrezione comunista (che poi non ci sarebbe stata, nè era nelle menti dei dirigenti del PCI). Per spiegare questo non basta l’ossessione anticomunista degli americani della Cia (o ex OSS, come James Angleton): dobbiamo anche aggiugerci la presenza del Vaticano, l’assenza di una classe politica e dirigenziale educata al senso di appartenenza dello Stato democratico.

Mancanza che “è figlia legittima della sostanziale continuità tra la nascente repubblica e le istituzioni fasciste, compresi gli stessi funzionari”.
Non è un caso perciò che nel nostro paese sono state insabbiate le denunce e le indagini cibtro gli ufficiali nazisti che nei mesi dell’occupazione si erano resi responsabili di eccidi della popolazione inerme.

Così nasce il “noto servizio”: dal Sim di Roatta, in seguito guidato da un oscuro generale polacco di origine ebrea, Otimsky, quando Roatta dovette fuggire in Spagna. E dopo costui da un altro personaggio “ambiguo“, Adalberto Titta, ex pilota di aereo della RSI. Attenzione, non stiamo parlando nè del Sifar (i servizi di intelligence ufficiali), ne di Gladio (o Stay Behind), cellule militari usati in funzione anticomunista.
L’Anello addestrò i primi nuclei militari dell’esercito israeliano, quando questo ancora non era ricosciuto dagli inglesi.
Fu un servizio nato volutamente clandestino, come in Germania la rete del generale nazista Gehlen, usata dalla Cia in funzione antisovietica. E clandestino rimase negli anni, senza mai essere rinonosciuto, per potergli far svolgere i lavori più sporchi, alle informali dipendenze della Presidenza Del Consiglio, per operare in parallelo alle strutture dello stato.

Alcuni esempi: dalle “intese con la mafia ai tempi dell’invazione della Sicilia, alla corruzione come normale sistema di trattativa politica, dall’utilizzo della malavita (come la Banda della Magliana, per l’individuazione della prigionia di Aldo Moro da parte della BR) in funzione di braccio armato, che può essere sempre reciso alla bisogna, allo stragismo e terrorismo della cui incredibile durata e virulenza nel nostro paese non è stata data ancora una plausibile spiegazione”.

A differenza della rete Gehlen, di Gladio (rivelato dal senatore Giulio Andreotti nel 1991), il “noto servizio” rimase clandestino. Anche per una questione di ricatto: chi ne avrebbe fatto parte (l’ex pilota Adalberto Titta, il prete Enrico Zocca, il dottor Pedroni, il geometra Cabassi, il giornalista Giorgio Pisanò che subentò a Guareschi al Candido) non sarebbe potuto andare da un giornalista o un magistrato a denunciare, proprio perchè clandestino.
Denunciare le attività che non si potevano fare alla luce del sole: “indirizzare scandali, campagne di stampa, corruzione, sparizione di documenti, reperti fascicoli, ricatti, momentaneo arruolamento di delinquenti con la logica di singole operazioni, intercettazioni illegali, dossieraggio, incidenti pilotati, informazione politica manipolata e/o inquinata”.
Come l’operazione PSI tesa a far nascere il centro sinistra negli anni 60 e nella scissione socialista del 1969, nel fallimento della trattativa del Vaticano per Aldo Moro, ma poi lavorarono per la liberazione di Ciro Cirillo.

Quanta parte della storia contemporanea potrebbe essere riscritta alla luce di quanto rivelato nel libro: dalla strage di Portella della Ginestra, alla fine dell’ingnerer Enrico Mattei, a Piazza Fontana, alle Brigate Rosse (infiltrate più volte e mai annientate) …

Il libro racconta in particolare di tre di questi episodi, in cui la mano dell’Anello fu fondamentale per far andare la bussola della storia in una certa direzione piuttosto che in un altra.
La fuga del Herbert Kappler, dal Celio a Roma; il rapimento di Aldo Moro e l’individuazione della prigione (o delle prigioni?) del popolo e il rapimento dell’assessore Cirillo nel 1981.

Questa inchiesta è solo un inizio per affrontare le verità dietro i tanti misteri d’Italia, mettere in chiaro gli omissis, svelare le trame e i perchè del nostro passato.

Pare che Titta, morto anche lui come molti testimoni “ingombranti” (Pecorelli, Dalla Chiesa, Rocca, ..) avesse dei diari nei quali accuratamente annotava diligentemente i suoi appunti.
Non usava abbreviazioni o nomi di copertura: solo per un presidente del Consiglio era solito scrivere “il gobbetto” …

La procura di Roma ha deciso di archiviare l’inchiesta, ritenendo che è in dubbio vi siano illeciti penali; un’altra, quella di Brescia, che ha indagato sulla strage di Piazza della Loggia (8 morti e un centinaio di feriti) è intenzionata a fare chiarezza. Non a caso, proprio di ‘Anello‘ s’è parlato nella prima udienza del processo per la strage, tutt’ora in corso a Brescia.
“Il gioco degli specchi – ha scritto nella postfazione Paolo Cucchiarelli, giornalista e studioso di terrorismo nero e servizi segreti – è stato infinito in Italia ma mai nessuno ha guardato in quello del ‘noto servizio’ fino in fondo, anche se potrebbe essere questo l’ultimo cassetto della Repubblica, il principale strumento dello stato parallelo. Questa inchiesta ha cominciato a farlo, ma è solo l’inizio”.
Il sito degli studiosi italiani di storia contemporanea.
Il sito di Aldo Giannuli.
Il sito dei Misteri D’Italia.

Il post sul sito dell’editore Chiarelettere
Il link per ordinare il libro su internetbookshop.
Technorati: Stefania Limiti

Aldo Moro è morto quando varò la strategia dell’attenzione nei confronti del Pci: era il novembre del 1968. Moro era un anticomunista che aveva compreso l’importanza di non escludere i comunisti dalle scelte fondamentali per il futuro del Paese. Pagò caramente questa convinzione. Il segretario di Stato americano, Henry Kissinger, glielo fece capire chiaramente in più occasioni, anche con duri atteggiamenti personali nei suoi confronti, che lasciarono Moro letteralmente sconvolto. Moro disse in quel consiglio nazionale della Dc del novembre ’68: “Non penso ad una comune gestione del potere ma ad integrare la nuova visione anche con l’opposizione comunista, così forte nel nostro paese”.

Il Pci aveva condannato in quello stesso periodo l’invasione della Cecoslovacchia e i socialisti avevano subito una dura sconfitta alle elezioni del maggio. Tanto bastò, dunque, per far pensare che quella intenzione potesse indurre cambiamenti nella collocazione internazionale dell’Italia, con conseguenze dirette anche sull’impegno militare del nostro Paese all’interno della Nato.
Ecco, forse Moro fu dichiarato morto proprio in quel momento e forse la strada che porta a via Caetani parte da lì: secondo alcuni la strage di Piazza Fontana, che fu il primo vero tentativo di colpo di Stato in Italia, va messa in relazione all’omicidio Moro.
E’ vero, Aldo Moro doveva salire sull’Italicus, il treno nel quale vennero collocate le bombe omicide da un gruppo fascista della Toscana. E’ incredibile che la rivelazione fatta dalla figlia Maria Fida, ancorché assai tardiva, non sia mai stata presa in considerazione dagli inquirenti.

E’ davvero incredibile, come, del resto, tante cose dell’omicidio Moro, un omicidio politico che aveva lo scopo di eliminare una personalità che rischiava di danneggiare gli interessi di potenti elitè politico-economiche e di modificare gli equilibri internazionali. Il filo rosso che segue l’attentato è riconducibile soltanto alle Brigate Rosse oppure abbraccia uno scenario internazionale? 

Sebbene non siano state raggiunte certezze di alcun tipo in sede giudiziaria, è certo che le Br non agirono isolatamente. Non furono un ‘cubo d’acciaio’. Questo può affermarlo ormai solo chi ha interesse a salvaguardare una sua particolare verità o menzogna. Di fronte al covo-prigione di via Gradoli, dove, secondo un uomo dell’Anello è stato tenuto Aldo Moro, c’è proprio in posizione simmetrica un covo della Banda della Magliana.

Un uomo della banda, durante il rapimento, era lì con il compito di ‘controllarli’.
Un uomo dei servizi segreti si trovava in via Fani, al momento dell’agguato, un fatto mai spiegato. E un uomo della ‘ndrangheta comparve sulla copertina del quotidiano madrileno El Pais la mattina del 10 maggio 1978: l’articolo diceva che, secondo fonti investigative affidabili, quello era l’assassino di Aldo Moro.
Quella foto e il suo nome scomparvero per sempre. Il sequestro e l’omicidio Moro fu un’operazione di altissima intelligence nella quale a decidere passo dopo passo gli eventi fu una volontà che non parlava solo italiano e che decise l’agguato, la prigionia, i tempi e le modalità dell’uccisione del presidente della Dc.

A chi è servita la morte di Moro?
Non serviva alla Brigate Rosse: non si è mai compreso perché un esercito uccide un ostaggio che il nemico non vuole indietro! Non serviva a tutte quelle ‘agenzie del crimine’ che a vario titolo, dalla mafia alla banda della Magliana, dalla camorra alla ‘ndrangheta, hanno avuto un ruolo diretto o indiretto nella vicenda e nella morte di Moro. Il caso Moro si dispiega e si spiega solo in uno scenario di strategia della tensione: la sua morte serviva a consolidare gli equilibri internazionali e a salvaguardare le alleanze politiche compatibili con la Nato.


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