lunedì 5 novembre 2012 di L'Abattoir
di Giulio Macaluso
Mario Monti, anzi super Mario, è elogiato da ogni pulpito di istituzioni e governi che hanno una certa valenza internazionale (UE, BCE, FMI, USA, Germania, etc.). Motivo dichiarato? Ha evitato il tracollo del sistema Italia che è strettamente interconnesso con tutti gli altri sistemi del jetset dell’economia. Sì, perché l’Italia non è un paese da niente. In poco spazio si concentrano innumerevoli produzioni d’eccellenza, proprietà intellettuali, aziende leader, etc. Anche se in parte e per alcuni settori si è perso molto con la globalizzazione, si può ancora dire che l’Italia è una potenza industriale soprattutto manifatturiera. E neanche in campo finanziario è messa male. I paesi emergenti ( i cosiddetti BRIC, cioè Brasile, Russia, India e Cina) la inseguono da vicino e tra pochi anni la surclasseranno ma, proporzionalmente alle forze messe in campo e alle rispettive guide politiche, siamo messi bene.
Tralasciando i dati economici, infatti, c’è un campo dove l’Italia è già retrocessa da molto tempo (altro che agenzie di rating): la qualità dei governanti.
Facciamo un breve excursus tra i Presidenti del Consiglio degli ultimi trent’anni:
Giovanni Spadolini, Amintore Fanfani, Bettino Craxi, Amintore Fanfani II, Giovanni Goria, Ciriaco De Mita, Giulio Andreotti (ennesima volta), Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi, Silvio Berlusconi, Lamberto Dini, Romano Prodi, Massimo D Alema, Giuliano Amato, Silvio Berlusconi II, Romano Prodi II, Silvio Berlusconi III, Mario Monti.
Suddividiamo in due questa sfilza di eccellenti.
La prima parte, la fase di arresto della locomotiva Italia (anni ’80) si conclude con la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi. Questo viene chiamato al capezzale di una prima Repubblica morente tra gli spasmi giudiziari più atroci, come salvatore della patria e traghettatore verso le famose elezioni del ’94 che videro la prima vittoria di Berlusconi.
Ciampi era un tecnico, il primo tecnico a capo di un governo repubblicano. Veniva da un’istituzione che ancora in quegli anni si beava di incarichi presidenziali a vita: la Banca d’Italia. Un banchiere, dunque, allora da 14 anni in sella, che rinunciava al suo grande potere per il “bene del paese”.
Sulla figura di Ciampi si addensarono molte critiche da coloro che erano stati esautorati del potere, i partiti, perché pilotò la prima esperienza di governo tecnico, ma nonostante questo fu sostenuto in parlamento fino al termine della legislatura, avendo il compito di mettere in sicurezza le finanze nazionali.
Si può dire senza tema di smentita, che l’incarico a Ciampi gettò pochissima luce tra le oscure camere parlamentari ma riabilitò in parte il prestigio dell’istituzione e del paese all’estero, diede respiro allo stress economico del Paese e tentò, più a parole che nei fatti, di interrompere, cosa non da poco, la dilapidazione del patrimonio pubblico da parte di coloro che, incapaci di governare degnamente ormai da tempo, non facevano altro che sopravvivere aggrappati agli scranni economicamente vantaggiosi dei palazzi Madama e Montecitorio.
Tentò, appunto.
I partiti mollarono temporaneamente il potere esecutivo ma non la borsa. Il finanziamento pubblico, per cui il 90% dei partecipanti al referendum abrogativo aveva chiesto l’abolizione, proprio sotto il governo Ciampi venne rinominato dai partiti “rimborso elettorale” e continuò ad esistere ed ingrossarsi con tante leggine ad hoc, ultima quella del 2006, che addirittura assegna ai partiti il rimborso per i 5 anni della legislatura teorica anche se questa dura in pratica meno anni! (Ad es. il 1° anno di questa legislatura hanno percepito un rimborso anche per il 3° anno della precedente, non esistente dato che dopo 2 anni circa si è tornati a votare, e così via.)
Forse affioreranno alla mente del lettore alcuni analogismi con la situazione odierna… In effetti basterebbe mutare annata e come all’improvviso faremmo cronaca piuttosto che storia…
Ancora oggi, il parlamento, esautorato da compiti governativi, continua a occuparsi di economia reale, sì, quella dei parlamentari, per difenderla dagli attacchi dei nemici della casta.
Seconda parte.
Berlusconi scende in campo e prospetta un futuro radioso per il Paese, una politica nuova del fare, gente fresca al servizio dell’Italia. Quella che sin da subito apparve come pubblicità ingannevole ai pochi, convinse i più e il risultato è stato un secondo ventennio, dopo quello fascista, che l’Italia non poteva permettersi, in cui a fare e disfare è stato sempre e solo lui, il grande affabulatore. Tutta la nazione si è divisa non su argomenti pratici, ma sul sostegno o meno al suddetto, il quale ha ampiamente influenzato anche le opposizioni incapaci di controvertire, unite solo nel fatto di essere anti, in una parola inaffidabili e inconcludenti.
Tralasciando i rapporti Berlusconi/opposizione e tutti i particolari annessi e connessi, che necessiterebbero di ben più pagine, per tornare all’argomento principale, senza dubbio l’Italia ha perso tempo.
Mentre nel mondo si pianificava, si progrediva, si cambiava su energia, lavoro, ambiente, welfare, qua siamo rimasti al palo.
La responsabilità è da addebitare, prima che a Berlusconi e company (i vari eccellentissimi premier), a tutta la componente politica. Definirla inutile, contradditoria, rapace, vergognosa, ladra, incapace, è ormai cosa di tutti i giorni. Un disastro su tutta la linea politica, da destra a sinistra, da nord a sud.
E proprio quella parte del parlamento, che era priva di sudditanza e interessi economici berlusconiani, che si vantava di essere diversa, che doveva impedire tutto questo, cioè la sinistra, è forse la peggiore.
Afferma Travaglio: “Meno male che B. si è fatto, almeno per un po’, da parte: così, dopo vent’anni, tutti possono vedere cos’è davvero la sinistra italiana. E capire chi ha regalato all’Italia 20 anni di fascismo, 40 di Democrazia cristiana e 20 di berlusconismo».
E come dargli torto?
A seguito del disastroso ventennio berlusconiano, il secondo governo tecnico lo abbiamo con Monti, grande esponente dell’intellighenzia economica sovranazionale. Un banchiere, a distanza di vent’anni, chiamato nuovamente al capezzale di un paese sommerso dai debiti e dall’inettitudine dei partiti. Lo stesso problema di vent’anni orsono, nel frattempo diventato più espressamente vergognoso, dato che la II Repubblica nasceva sulle ceneri delle Prima con la promessa di far dimenticare lo squallore.
E Mario Monti non ha deluso, ha tenuto a galla la nazione basandosi principalmente sul fattore normalizzazione. Lasciando di nuovo i partiti a far finta di legiferare per un rinnovo della politica che arrivi dagli stessi partiti. Come chiedere ad un uomo di operarsi per una resezione di organo da solo. I partiti preferiranno far affondare la barca Italia con tutti gli italiani, così come un auto-operando preferirà lasciarsi morire piuttosto che auto-incidersi.
Ma così come lo fu Ciampi, anche Monti, in fondo, è un anestetico dall’emivita breve. Durerà il tempo di risvegliarci di nuovo con la politica incapace al governo. Chiunque detesti o elogi Monti non può non riconoscere che il vero problema è che, finito il suo mandato, saremo punto e a capo. Non avremo risolto nulla. Perché coloro che potrebbero e dovrebbero cambiare il paese sono allo stesso tempo il peggior cancro del paese. Tanto che la tecnocrazia al confronto è una panacea.
E chi, tra tutti i coscienti di questa situazione, non vorrebbe un antidolorifico-magnifico dall’emivita lunghissima che sollevi dalla triste realtà?
Io sono pronto ad assumerne dosi massicce perché non ne posso più del dolore.
Tecnocrazia come soluzione ai nostri guai?
Questo sembrerebbe l’unico, amaro, epilogo possibile.