Anche se ottobre è il mese del pane non potevo però interrompere la rubrica di Fabienne Melmi, in questi giorni così difficile non si può mai smettere di parlare del NUCLEARE.
Per Guillaume Herbaut, lo splendore delle immagini è sempre ingannevole. La bellezza ha qualche cosa di velenoso.
L'inchiesta "L'oro nero di Chernobyl", presentato al festival di fotogiornalismo di Perpignan, non sfugge alla regola. Il fotografo si serve di immagini all'ambiente pittorico, dei colori leccati, per trattare di una realtà spaventosa: il traffico a grande scala dei metalli radioattivi nella zona di Chernobyl.
Traffico di grande ampiezza: su 8 milioni di tonnellate di metallo che contava la zona, non ne resterebbero più di due. Tutte le settimane, 200 tonnellate di metallo lasciano i luoghi, caricate su dei camion, mentre ufficialmente nessuno oggetto è autorizzato ad uscire.
"Per 100 dollari, i custodi chiudono gli occhi", spiega Guillaume Herbaut. Alla fine della catena, il metallo irradiato è sciolto nelle metallurgie, in Ucraina, prima di essere venduto in Turchia o in Europa - se ne sono ritrovati dei pezzi anche in Italia. Ufficialmente, l'agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA) non è informata. L'intervista si chiude simbolicamente sul gesto di diniego di un ufficiale ucraino.
Sono dieci anni che Herbaut frequenta il sito della catastrofe nucleare, in Ucraina. Ogni volta, percorre la "zona vietata", trenta chilometri intorno alla centrale, rimasta contaminata anche a ventiquattro anni dopo l'incidente.
È nella primavera 2010, mentre parte col giornalista Bruno Masi, che riesce a bucare certi misteri del sito. "Non capivo perché il cimitero di arnesi militari di Rassokha, che avevo fotografato dieci anni fa, era vietato all'accesso. Né perché i palazzi della città di Pripiat, evacuata dopo la catastrofe, restavano in un stato penoso, le tubature esplose, i radiatori strappati". Sono occorsi parecchi mesi di lavoro, e numerose partite di nascondino con la polizia locale, per condurre l'indagine. Grazie ad Igor, un clandestino che aspetta il suo processo per traffico di metallo, il fotografo è riuscito a risalire, e a fotografare, tutta la trafila.
Sulle sue immagini, seguiamo Igor lo "stalker", uomo tuttofare che percorre la zona vietata alla ricerca di metallo, che taglia e raccoglie senza nessuna protezione. Poi vediamo i metalli recuperati dalle imprese di subappalto, "venire decontaminati" in modo superficiale nei laboratori che somigliano all'antro del diavolo". In un baccano incredibile, circondati di polvere radioattiva, degli uomini senza maschera puliscono il metallo progettando della sabbia sotto pressione, racconta Guillaume Herbaut. Il contatore indicava 400 rems, mentre la norma è da 9 a 20 rems!
Abbiamo fatto rapidamente tutte le foto possibili e siamo usciti.
Più incredibile è che questa attività clandestina e pericolosa si svolga nei blocchi 5 e 6 della centrale, ad alcune centinaia di metri dalla caffetteria dove pranzano i giornalisti che vengono ogni giorno a visitare il sito. La zona vietata di Chernobyl somiglia ad una gigantesca cassa che si svuota poco a poco. Nelle immagini tristi e silenziose, Guillaume Herbaut mostra il cimitero di arnesi militari di Rassokha dove gli elicotteri depositati là dopo la catastrofe sono rovine. Nelle torri abbandonate di Pripiat, le camere abbandonate al mobilio sparpagliato e sfondato sembrano avere conosciuto la guerra. Non c'è solo il metallo che è rivenduto, ma anche i mattoni ed i finestrini, ed è tutto contaminato.
Guillaume Herbaut ha raccolto delle immagini sconcertanti di persone perse e di paesaggi immacolati sui quali piana una minaccia intangibile. Il tutto darà un libro.
L'articolo originale lo travate su LEMONDE
http://www.lemonde.fr/culture/article/2010/09/10/la-beaute-veneneuse-de-tchernobyl_1409463_3246.html