ÉMILE ZOLAAL PARADISO DELLE SIGNORE Tanti anni fa vidi un film con Gérard Philipe, di cui non capii molto (la solita storia corale), ma di cui mi piacque il matrimonio conclusivo. Quindi, quando scoprii che Zola aveva scritto un seguito, Al Paradiso delle signore, sul protagonista Octave Mouret, lo comprai. All’inizio fui un po’ delusa perché la moglie era morta nell’intervallo fra i due volumi. Ma ormai l’avevo comprato e lo lessi. È tuttora il mio preferito fra i libri di Zola. Non che sia neanche lontanamente all’altezza di Germinal o L’assommoir, però è l’unico dell’autore con un lieto fine: è questo, lo confesso, il motivo per cui mi piace.Primo avvertimento per chi non l’abbia letto: innanzitutto vi consiglio l’edizione BUR con la bella introduzione di Colette Becker; poi dimenticate la fiction televisiva, che è davvero uno spudorato tradimento o forse dovrei dire proprio un’altra cosa. Neanche in ambito rosa Zola avrebbe mai scritto una soap o una telenovela. I Misteri di Marsiglia magari sì, ma una soap mai.Piuttosto vorrei rievocare la prima volta che sono andata in un grande centro commerciale nei pressi di casa mia. In precedenza non mi era mai successo e forse non riuscirò ad esprimere bene quello che provai: una specie di mercato coperto, ma immenso, con vere e proprie strade, che avevano pure il loro nome! Luminosissimo, con scale mobili, scivoli per i bambini e bar con i tavolini, dove le famiglie potevano sedersi e mangiare un gelato fra un acquisto e l’altro. O anche senza acquistare niente di più che la consumazione. E intanto guardare chi passava. E trascorrere così la domenica. Le piazze? Le passeggiate sulla spiaggia o in montagna? Puah! A pochi minuti da casa tua. Confesso che personalmente rimasi scioccata e mi sembrò di essere stata sbalzata negli Stati Uniti addirittura.Proprio di questo parla Zola, quando pubblica il romanzo nel 1883, cioè negli stessi anni di Pinocchio e Cuore. Della rivoluzione avvenuta in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, con la guerra fra piccolo e grande commercio.Il libro appartiene alla saga dei Rougon-Macquart: venti titoli che hanno l’ambizione di rappresentare, su basi positiviste, tutti gli aspetti della società francese. Si tratta di una famiglia in cui entrano componenti diverse: quella Rougon, realista ed egoista, e quella Macquart, che va dall’idealismo e dalla moralità alla follia e alla trasgressione (a volte delinquenziale), ma anche alla creatività.Per quelle che noi chiameremmo le sue componenti genetiche, Mouret è erede in senso positivo di entrambe le linee: da una parte il senso del mercato e di quanto è possibile e conveniente, dall’altra non demenza e depressione, alcolismo o patologia psichiatrica, ma genialità e amore del rischio calcolato.Zola riteneva che ciascuno di noi fosse la risultante di tre fattori: l’ereditarietà (per cui si è predisposti ad alcune malattie e non ad altre, ad alcuni comportamenti e non ad altri), il momento storico (che per il ciclo è il Secondo Impero) e l’ambiente sociale in cui capita di vivere. Una volta scelto il settore in cui ambientare un nuovo romanzo, lo scrittore lo studiava con cura. Nella fattispecie per mesi frequentò soprattutto il Bon Marché dei Boucicaut, che sono i modelli per Octave e Denise, ma anche altri grandi magazzini. Individuò gli elementi di innovazione ed efficienza che ne spiegavano il successo. Si interessò particolarmente alla condizione dei commessi, che lavoravano e vivevano all’interno dei grandi magazzini in miseria ed estrema precarietà, condizione che però pian piano cambierà in positivo sulla base di criteri di efficienza del servizio e quindi di convenienza anche del padronato.
Zola ritratto da Édouard Manet
Come il suo protagonista lo scrittore crede nel progresso e nel cambiamento. Quindi mette l’accento sull’importanza moderna della pubblicità e sull’apporto fondamentale del capitale bancario allo sviluppo. Non prova molta pietà per il piccolo commercio. E pensa che bisogna stare al passo con i tempi: mentre Mouret costruirà la sua fortuna, ne deriverà un abbassamento dei prezzi per i clienti e un miglioramento nella situazione dei commessi, grazie ai premi di produzione in occasione delle promozioni e alla partecipazione agli utili.Nel romanzo, naturalmente, il cambiamento avviene grazie all’azione di Denise, che media fra i commessi ed il padrone e tenta di farlo, sia pur in gran parte invano, anche fra i piccoli commercianti e Mouret, ottenendo una serie di miglioramenti che al Bon Marché furono effettivamente attuati.Il romanzo vira verso una conclusione rosa perché Octave prima gradualmente e poi in modo travolgente viene preso da una grande passione per Denise, che pian piano diventa amore e infine lo porta a sposarla.Si è detto che, dato il carattere del personaggio, questo innamoramento è inverosimile. In un uomo tanto affascinato dal successo, forse, secondo i critici, non ci sarebbe posto per un sentimento profondo. Né comprendono come Denise riesca a resistergli, nonostante il suo amore e la sua condizione povera e subordinata. Non capiscono, cioè, che per lei è una questione di dignità. Il sentimento di Octave, senza dubbio, ha aspetti sfrenati e isterici, ma nasce pian piano anche dalla stima e dalla consonanza intellettuale: Zola ha voluto rappresentare l’amore come una forza travolgente e almeno in parte irrazionale.Di fronte alla sconfitta e alla scomparsa dei piccoli commercianti del quartiere, Denise “fin all’ultimo bisognava che assistesse all’invincibile opera della vita che vuole la morte se devono sorgere, come sorgono, i nuovi germogli. (…) Mouret aveva inventato quella macchina per stritolare la gente; e l’ansito brutale di quei congegni la indignava; per essi, il quartiere s’era coperto di rovine; spogliati gli uni, uccisi gli altri; eppure, essa l’amava per la grandezza dell’opera sua; l’amava sempre di più ad ogni eccesso della sua potenza; e non valeva che le si empisse il cuore di pianto davanti alla sacra miseria dei vinti.”Per costruire l’insolito, per lui, lieto fine, Zola si è ispirato a vicende veramente avvenute. Perché allora non convince i critici, neppure la Becker che pure apprezza il romanzo? Già Pirandello agli inizi del Novecento nella postfazione del suo Il fu Mattia Pascal si lamenterà dell’accusa di inverosimiglianza che è stata rivolta alla sua opera e citerà una storia “vera” molto simile alla sua. Il fatto è che la letteratura, più che vera, dev’essere verosimile. E non si può negare che l’autore non rappresenta in modo adeguato come fa un imprenditore e seduttore, per cui sono importanti solo lavoro e successo, a innamorarsi così perdutamente. Meglio, invece, viene rappresentato il modo in cui pian piano si estrania dagli affari, che finora sono stati la sua vita, e si lascia divorare dalla passione.In quanto lettrice rosa sono abituata al lieto fine e quindi la questione non mi ha mai posto problemi. E tuttora, mentre ammiro incondizionatamente Germinal e L’assommoir, rileggo sempre con piacere Al Paradiso delle signore.Se ti è piaciuto questo articolo clicca g+1 Commenta il post per farci sapere la tua opinione!