L’anima vuota delle cose in un componimento di Valerio Magrelli

Creato il 22 maggio 2012 da Straker
Valerio Magrelli (Roma, 1957) immette nei suoi componimenti contenuti intellettuali, “in cui assumono una forte incidenza gli elementi del pensiero e della riflessione; di qui il taglio argomentativo e raziocinante che usa frequentemente i termini di un lessico scientifico ed astratto. La sua è una scrittura rarefatta (quasi depurata, scarnificata) che opera un processo di astrazione della materia, sottoposta ad uno strenuo controllo razionale e formale. Il rigore che ne consegue esclude ogni effusione soggettiva o sentimentale, cancellando la tradizionale ingerenza del soggetto lirico, dell’’io’. Una realtà per cosi dire mentale viene restituita nelle forme di un’estrema stilizzazione”.(G. Baldi).
Su questa direttrice si situa la raccolta “Nature e venature” (1987), in cui gli oggetti atoni ed attoniti si dichiarano nella loro ontologia indecifrabile un po’ come nell’arte iperrealista di Domenico Gnoli. La natura stessa, nella citata silloge, esibisce i suoi ingranaggi meccanici, il suo disegno schematico: giustamente, a proposito del primo Magrelli, si è parlato di esprit de géometrie, ma è una geometria che, invece di definire una lucida presa sul reale e men che meno un suo presunto logos, evidenzia il carattere asettico del mondo, la sua gelida estraneità al flusso umano.
Così in una poesia di “Nature e venature” è fissato un orologio, emblema dell’erosione che seziona e spolpa la vita dell’uomo e dell’intero universo. “Con ingranaggi, lancette, dentature/ l’orologio sembra un carro falcato/ che fa scempio del giorno, ne dilania/ la salma, lede i legami e le giunture,/ trincia le ore, le disossa, come/ la rotazione della notte strappa/ la chiarità del cielo e mette a nudo/numeri, membrature, figure,/ lo scheletro brillante e nebuloso delle costellazioni”.
La “lirica” radiografa l’immagine del tempo stritolatore per consegnarla ad uno sguardo freddo, che spoglia il cosmo della sua pelle attraente per eseguire un’impietosa anatomia di un universo tecno-biologico. Il cielo è una pagina ruvida ed alle stesse costellazioni è sottratto il chiarore poetico sostituito dalla luce artificiale di un gabinetto medico. Il campionario inventariato da Magrelli ha alcunché di funereo, ma la morte non giace nel senso del declino e della fine, bensì nell’anima vuota delle cose. E’ qui rintracciabile la poetica del correlativo oggettivo, dove il gioco delle immedesimazioni si concreta in architetture di immagini e di suoni seghettati (“lancette, dentature, rotazione, strappa, membrature, scheletro”….), nelle rime taglienti, nei versi ghigliottinati dagli enjambements.
La visione di Magrelli è la lastra Röntgen di una vita che “equivale, però, ad una non-vita.” (G. Baldi).

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