Schieramenti nel 1914.
Il racconto dell’ultimo anno prima della Grande Guerra ogni mese sull’Undici. Dall’aprile 1914 al maggio 1915, cosa accadde e chi fece cosa.
Nel 1914 l’Italia ha poco più di 36 milioni di abitanti. Quasi tre milioni di abitanti in più rispetto al censimento del 1901. Sarebbero molti di più se a milioni non fossero emigrati verso l’America del nord e l’Argentina, la nuova terra promessa. Nel 1913, l’anno del maggiore deflusso, sono partiti in 872.000. Come se una Napoli e mezza fosse partita di colpo. Napoli, con 668mila abitanti, è ancora la maggiore città dell’inquieto regno d’Italia. Seguono Milano con quasi 600.000 abitanti e poi la capitale Roma con 522.000 persone, tutte richiamate dalle possibilità d’impiego nella burocrazia centrale.
I primi anni del secolo sono stati di sviluppo. Con fatica e parecchi aiuti statali, sono cresciute l’industria e l’agricoltura, sono state fatte alcune importanti riforme (le pensioni obbligatorie e il suffragio universale maschile), lo stato si è astenuto dall’intervenire a favore dei padroni nei conflitti sindacali, portando così a miglioramenti della condizione operaia. Il reddito medio è di 532 lire (oggi 2.015 euro) ma le differenze sono enormi. Un operaio poteva guadagnare in media 2,84 lire al giorno (poco meno di 11 euro), un inserviente poteva arrivare a 1.450 lire l’anno, un impiegato a 2.350 lire e un direttore generale raggiungere le 10.000 lire, che oggi sarebbero 37.884 euro.
Gli italiani continuano ad essere in ritardo sugli altri paesi europei, anche se qualcosa si è mosso. Al censimento del 1911 si registrano meno analfabeti (37,9% contro il 48,7% di dieci anni prima), pur con divari spaventosi: 11% in Piemonte e 69,6% in Calabria. Anche alla leva i ragazzi hanno guadagnato qualcosa in altezza. Gli italiani sono arrivati a 166,19 cm, due centimetri di più in trent’anni.
L’Andreotti di inizio XX secolo. Giovanni Giolitti, che aveva capito bene cosa ci voleva per governare l’Italia.
A governare i cambiamenti politici e sociali ci sono il re Vittorio Emanuele III, che liberale non è ma neanche ha molta voglia di immischiarsi troppo nella politica romana. A lui interessa solo la politica estera, dove però deve ingoiare parecchi rospi, molti dal vulcanico Kaiser Guglielmo II e altrettanti dal senescente ma non troppo imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe. Il re lascia fare a Giovanni Giolitti, che sa che per realizzare un minimo di riforme in Italia che allontani lo spettro socialista occorre una solida maggioranza e qualche ricatto piazzato al momento giusto. Durerà per quasi 14 anni. Giolitti cerca di allargare le basi dello stato verso i cattolici (il Patto Gentiloni è del 1913 e segna l’ingresso dei cattolici in politica dopo l’Unità) e verso sinistra, dove i socialisti fino al 1912 sono disposti ad accettare il riformismo giolittiano anche se non avranno mai il coraggio di entrare nel governo. L’apice è il 1912 poi il PSI viene conquistato dagli estremisti rivoluzionari e direttore dell’Avanti diventa un feroce romagnolo con una penna velenosa.
La guerra libica del 1911-12 è stata un successo ma i costi sono stati notevoli. Soldi che si sarebbe potuto investire altrove. L’Italia è un pelo più considerata a livello europeo. Non che i nostri alleati da trent’anni, Germania e Austria, ci apprezzino. Quasi mai ci raccontano in anticipo cosa hanno in mente di fare. L’Austria si prende la Bosnia nel 1908. A norma del trattato della Triplice alleanza, all’Italia sarebbero dovute scuse e compensazioni territoriali.
In quegli anni lo sport e il cinematografo entrano nella vita degli italiani. Calcio e ciclismo attraggono masse crescenti di persone. E’ ancora un’epoca pionieristica in cui emergono i primi grandi campioni. Domina il Pro Vercelli fatto solo da italiani. La nazionale di calcio gioca la sua prima partita nel 1910 e per il momento si accontenterà di partite con i vicini, Francia, Svizzera e Austria. Girardengo esordisce professionista nel 1913.
Il cinema si diffonde ovunque. Non c’è comune senza almeno una sala. Non solo spettatori: l’Italia produce un numero enorme di film. Nel 1913 sono ben 643, superiori in numero agli Stati Uniti e secondi solo alla Francia. Torino, Roma e Milano sono le capitali italiane della nuova arte. I film tricolori sono esportati in tutto il mondo e riscuotono un grande successo. Melodrammi e romanzoni storici, basati sul culto della romanità. Anche così si crea un linguaggio comune e un’immagine dell’Italia all’estero. Nascono dive come Francesca Bertini e Lyda Borelli. Al di là del cinema e della musica lirica, non c’è molto. L’Italia è alla periferia delle avanguardie artistiche, figurative e letterarie europee, con l’eccezione dei futuristi, che pure sono partiti nel 1909 da Parigi con un manifesto pubblicato in francese. La nostra letteratura sembra poca cosa rispetto ai grossi nomi che circolano in Europa. Siamo ancora avvolti nella bambagia della retorica ottocentesca, ora ulteriormente ammantata da squilli di tromboni nazionalisti. D’Annunzio è il nostro artista più noto. Pochi capiscono i suoi deliqui immaginifici. Dà scandalo, vive di debiti e quando non può più sottrarsi, scappa in Francia.
Lyda Borelli. Sensuale e perduta. Incantò e preoccupò pure Gramsci.
All’inizio del 1914 la situazione generale è tutto sommato promettente. Dopo le elezioni dell’ottobre 1913, in parlamento c’è una solida maggioranza liberale sotto il controllo di Giolitti. I socialisti rivoluzionari sono tenuti a bada. L’economia cresce lentamente ma cresce. Ci sono tutti i presupposti per un altro decennio di lento ma costante progresso. Ma i giovani, i socialisti, i nazionalisti, non possono aspettare: chi vuole la rivoluzione, chi vuole la guerra per ingrandire la patria, chi vuole la guerra per distruggere il passato e rinvigorire con il sangue il paese. I cattolici entrati in politica sono conservatori che diffidano dell’ordine liberale mentre i grandi industriali legati allo stato, di fronte all’avanzata socialista, preparano una controffensiva. Una cosa è certa: di Giolitti sono stufi tutti.
Nel frattempo la situazione internazionale è sempre tesa. La polveriera d’Europa sono i Balcani. I due grandi blocchi che si dividono l’Europa e il mondo si armano. Nessuno però crede alla guerra. I monarchi europei sono tutti imparentati tra di loro. Le economie sono integrate in un sistema globale di grande libertà commerciale e finanziaria. E i partiti socialisti si oppongono ovunque a qualsiasi idea di guerra europea in nome della solidarietà proletaria. C’è anche chi pensa che una guerra non potrebbe durare a lungo.