L’anonimato in rete: quando il mio nemico non ha nome

Creato il 03 settembre 2012 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Ho seguìto, anche per tangenziali motivi di lavoro, la lunga polemica sviluppatasi nel corso dell’estate tra gli operatori turistici e il noto sito TripAdvisor, accusato di ospitare recensioni fasulle, ora prezzolate da chi ha accettato di versare una sorta di tangente, ora vendicative a danno di chi si è sottratto a questa moderna forma di pizzo. Più in generale, il sito è stato accusato di ospitare commenti e opinioni privi di verifica, spesso postati da persone che non hanno avuto alcuna esperienza diretta presso gli alberghi o i ristoranti citati, altre volte superficiali e dettati da un malanimo del tutto personale e transitorio. Al fondo, la polemica tocca il tasto dolente: come è possibile verificare l’attendibilità di un giudizio, ed eventualmente replicarvi in maniera circostanziata, se tale giudizio è anonimo?
Alcuni mesi fa abbiamo avuto, come casa editrice, un’esperienza simile a quella degli albergatori o ristoratori che oggi si ribellano alle recensioni in rete; al tempo lasciai correre, ma ora l’episodio riemerge a proposito. Accadde infatti che su uno di quei siti di commenti letterari (definirli recensioni sarebbe improprio e generoso) molto noti e popolari, ma non particolarmente raffinati, venisse pubblicata una sintetica stroncatura di un romanzo da noi edito: due righe in tutto per dire solo che l’opera era disastrosa perché mancava il lavoro di redazione, che nessuno l’aveva letta prima di pubblicarla e che il giudizio era perciò negativo in sommo grado.
L’autore del romanzo se la prese a male, rimanendo sinceramente dispiaciuto: cercò anche di risalire all’estensore del commento e di contattarlo, giusto per un confronto, ma senza riuscire a conoscerne l’identità (fra l’altro volutamente ben celata con il contorno di subdoli artifizi). Spiegai all’autore che non doveva risentirsi, perché appariva evidente che lo stroncatore non aveva neppure letto l’opera, mancando qualunque riferimento che rendesse il commento vagamente plausibile e, comunque, riferibile a quel preciso romanzo e non a un altro. Ipotizzai, considerando i termini della stroncatura, che chi aveva postato il commento ce l’aveva presumibilmente con l’editore, e non con l’autore, perché si accennava solo alle colpe di chi doveva leggere, valutare, sistemare, editare l’opera. E mi convinsi che probabilmente l’anonimo commentatore era qualcuno che voleva vendicarsi, magari perché ci aveva inviato una proposta editoriale che era stata cestinata (non eravamo ancora nell’epoca del servizio editoriale a pagamento).
All’epoca, ho detto, non diedi troppo peso alla cosa, ritenendo che un attento navigatore avrebbe saputo cogliere da solo le evidenti motivazioni personali che stavano alla base della livorosa e non argomentata stroncatura. Tuttavia, resta vero che il commento anonimo in rete, in siti letti da migliaia di persone, rappresenta una facile forma di vendetta che andrebbe ben distinta dalla recensione onesta, magari anche critica ma motivata.
I gestori di questi siti, TripAdvisor in testa, replicano che non possono rendere nota l’identità di chi ha postato il commento per tutelarne la privacy. Argomentazione che ha forse un fondamento giuridico (e se ce l’ha, credo che la legge andrebbe ripensata), ma che non ha alcun riscontro logico. La tutela della privacy dovrebbe valere per chi sceglie, appunto, di rimanere nell’ambito privato e di incidere sulla realtà con le forme e i modi che tale scelta comporta (per esempio attraverso gli acquisti e le scelte di spesa, che davvero dovrebbero rimanere anonimi come spesso invece non avviene). Se però qualcuno sceglie di rendere pubblico il proprio pensiero, diritti e doveri dovrebbero procedere di pari passo. Accusare un autore di incompetenza, un editore di cialtroneria, un albergatore di maleducazione (e via di seguito fino ai forum politici dove si può dare a chiunque del ladro o dell’assassino in forma appena dubitativa) dovrebbe comportare un’assunzione di resposabilità conseguente. Chi esprime determinate opinioni dovrebbe, per correttezza e per obbligo, metterci il proprio nome, con la possibilità di risalire alla relativa faccia e alla storia che lo riguarda. L’eliminazione dell’anonimato è il primo passo per verificare l’attendibilità e gli eventuali secondi fini del commentatore, per sapere se sta esprimendo una libera opinione, se sta compiendo una vendetta, o se magari indossa qualche divisa e agisce (in un senso o nell’altro) per conto terzi allo scopo di promuovere o affossare il destinatario del commento.

Personalmente, di commenti e recensioni in forma anonima tendo da sempre a non fidarmi. E credo che d’ora in avanti mi risparmierò anche la fatica di leggerli


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