L'anti-politically correct

Da Silviapare
Un giorno alla domanda "How are you doing today?" del giovane commesso ho risposto, soprappensiero, dicendo la verità. Qualcosa tipo: ho un po' di mal di testa. Oppure: male, stanotte non ho chiuso occhio. La reazione, però, è stata molto diversa da quella del commesso medio italiano, che avrebbe come minimo ricambiato la lamentela, magari rincarando un po' la dose per far vedere che lui stava anche peggio. Oppure mi avrebbe incoraggiata con qualche banalità, tipo: su, dai, che oggi è venerdì. Il commesso medio americano invece mi ha guardata allarmato, quasi terrorizzato, senza sapere cosa dire. Poi mi ha rivolto un "I'm sorry" costernato, autentico come una banconota da tre euro.Da quel giorno, per un po' mi sono divertita a farglielo apposta. "How are you doing today?" mi diceva, e io giù con qualche catastrofe. Lo lasciavo spaesato, poverino, la sua routine interrotta, le sue certezze in frantumi. Poi ho smesso di divertirmi. Adesso rispondo "bene, grazie, e tu?", con un sorriso autentico come il suo.Qualche giorno fa, parlando con un amico americano, ho detto che una certa persona è stupida. L'amico si è sganasciato dalle risate. Io non riuscivo a capire che cosa ci fosse di strano: non è che io vada in giro dando dello stupido a tutti, però può capitare, no?  D'altronde ce ne sono in giro tanti, di stupidi. Cosa c'è di tanto divertente?
Me l'ha spiegato Mr. K: "hai detto quello che tutti pensano ma nessuno osa dire". 
Ed ecco che all'improvviso quella che per me è una normale conversazione diventa un atto di grande originalità. Fico. Mi sa che più sto negli Usa e più divento italiana.