L’antropologo disorientato

Creato il 27 agosto 2011 da Davide

L’habitus antropologico classico dovrebbe contemplare una grande capacità di orientarsi. O meglio, di riprendersi dal dis-orientamento. Perché, diciamocelo, chi studia antropologia lo fa perché ama il poco noto, il nuovo, l’altrove, la contaminazione, l’esperienza umana nella sua quotidianità e diversità. Dopotutto, fare etnografia può essere visto come il risultato di un processo di ri-orientamento, secondo i propri canoni, all’interno di una situazione che inizialmente era vista come estranea. Antropologia e disagio, passione, sforzo, avventura, disorientamento e frustrazione vanno quindi insieme.

L’antropologo culturale costruisce mappe e bussole culturali. Le costruisce per se stesso, ma le costruisce anche per gli altri. Le costruiva Malinowski, agli albori della disciplina, attraverso la prospettiva dell’antropologia pratica di matrice funzionalista, per darle in uso agli amministratori coloniali britannici.  Fin da quel momento, l’obiettivo è sempre stato identificare decodificare comportamenti, relazioni, scambi, discorsi, simboli, riti e significati che fanno parte dell’esperienza di ogni uomo. Oggi la prospettiva dell’uso dell’antropologia, anzichè coloniale e di controllo, può essere progettuale e evolutiva.

Costruire mappe e bussole partendo dalla propria esperienza. E per permettere la costruzione dell’esperienza altrui. Pensateci bene: che differenza c’è tra una bussola e una mappa? E’ famosa la metafora, nelle scienze umane, che la mappa non è il territorio. Chi ha esperienza di orienteering sa benissimo che differenza ci sia: posso avere tutte le mappe che voglio, ma senza una bussola non riuscirò mai ad orientarla. Una mappa mi dice dove sono e dove posso andare. Una bussola mi indica la direzione per concretizzare lo spostamento.  Senza mappa una bussola non serve: non ho nessuna rappresentazione dello spazio, non so cosa mi aspetta dietro alla curva, alla collina, alla cima.

Quindi mappe e bussole devono essere utilizzare insieme. Entrambi sono strumenti per raggiungere uno scopo: sperimentare il movimento da un punto all’altro, proseguire nel percorso, terminare il progetto.

Uno studente laureato in antropologia è una antropologo disorientato. Ha alcuni rudimenti di mappe, e una bussola che non sa usare bene. Dopo la laurea, non ha nessun rituale di passaggio da superare, perché la società non ne prevede per gli antropologi, non ha particolari percorsi formativi da esperire, ha solo molte potenzialità da attualizzare. Inoltre, non sa usare mappe e bussola. E’ sprovvisto della “cassetta degli attrezzi”, immagine utile perchè nessuno è più bricoleur intellettuale dell’antropologo, più artigiano dell’esperienza dell’etnografo.

Come molti sapranno, chi si è smarrito tende a girare in tondo. E molto difficile tenere una linea retta. Senza linea retta però non ci si muove. Ne va della sopravvivenza dell’antropologo. Alla fine sì, è una questione di sopravvivenza. Può quindi essere da stimolo vedere su un manuale di sopravvivenza quali siano i consigli che vengono dati, ossia le regole base per la sopravvivenza dell’uomo in ambiente naturale. Possono valere per l’antropologo disorientato che deve sopravvivere in ambiente sociale? Opportunamente adattati, senza forzarli, credo di sì.

Regole base per la sopravvivenza (cfr. il giornalista-esploratore J. Palkiewicz “Scuola di sopravvivenza”, adattamenti miei, ma può anche essere davvero utile nella versione originale a chi faccia etnografia in condizioni estreme):

1. Mai svolgere attività antropologica da soli (collaborare)

2. Equipaggiarsi in modo appropriato alle condizioni da affrontare

3. Portare un equipaggiamento di base (intellettuale)

4. Riconoscere i propri limiti intellettuali e le capacità tecniche

5. Conoscere la situazione dove si è

6. Portare mappe e bussole e saperle usare

7. Comportarsi con prudenza

8. Far sapere ad altri dove si è e cosa si vuol fare

9. Rafforzare la volontà, aver fiducia in se stessi, non mollare mai.

Diventare antropologi oggi è un’avventura contro le difficoltà estreme della natura, della società e della cultura. Bisogna costruire mappe, bussole, arnesi, ripari, non mollare. Ne va della nostra sopravvvivenza!


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