Comincia dunque un viaggio che non è soltanto materiale. Attraverso il taglio particolare delle inquadrature, l’uso esasperato della nebbia, i giochi di luce e la presenza di colori innaturali, Coppola induce nello spettatore la sensazione che si tratti invece anche di un viaggio mentale: una discesa negli inferi della propria coscienza, su su oltre il fiume della ragione, nella giungla fitta e buia della mente umana. L’impressione è confermata anche dal fatto che, man mano che ci inoltriamo nel regno di Kurtz, ci sembra di percorrere il tempo a ritroso, e tornare indietro di milioni di anni. L’uomo civilizzato laggiù non esiste: lì troviamo l’uomo prima del progresso, nello stadio più vicino alla natura. Riti tribali, usanze arcaiche, modi di vita primitivi. La stessa morte di Kurtz avverrà durante una cerimonia sacrificale, e ne assumerà tutto il valore rituale. Il colonnello, infatti, sa che è giunta la sua ora. Quando Willard, dopo averlo trovato, gli spiega le sue intenzioni, non ha nulla da rispondergli. La sua colpa è stata semplicemente quella di avere spinto alle sue logiche ed estreme conseguenze una politica che ha già in sé la sua malattia: un imperialismo planetario mascherato con intenti umanitari e trovate propagandistiche. “Addestriamo dei ragazzi a sganciare Napalm sulla gente, ma i loro comandanti non vogliono che scrivano ‘cazzo’ sugli aerei, perché è una parola oscena”.
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