L'apparente pacifismo del discorso

Creato il 04 aprile 2015 da Francosenia

La lotta per la verità 3/7
(Note sul comandamento postmoderno al relativismo nella teoria critica della società)
- Un frammento di Robert Kurz -

Premessa: Il presente testo costituisce un frammento scritto da Robert Kurz. Viene pubblicato senza nessuna sistemazione editoriale. Ci sono quindi delle annotazioni fra parentesi e degli spazi in bianco fra i paragrafi lasciati dall'autore e che erano destinati ad accogliere delle spiegazioni che Robert Kurz non ha potuto elaborare. E' un frammento postumo, rivolto contro il comandamento postmoderno al relativismo nella teoria critica della società. Questo comandamento viene identificato come risultato di un'incertezza transitoria, alla fine dell'epoca borghese, in cui anche il campo della critica del capitalismo, legittimato dalle idee di Marx, si presenta spesso come una sorta di labirinto, per quelli che ne sono fuori. La risposta postmoderna a questa situazione, consiste ora nel vivere la "perdita di tutte le certezze", non come probabile problematica, ma elevandola a dogma, a nuova garanzia di salvezza, la cui promessa di felicità consiste nel non dover compromettersi con niente e nel lasciare tutto aperto. Qualsiasi posizione determinata, che non riconosce da subito anche il suo contrario, viene aspramente criticata  da questo dogma. Ma una simile imprecisione ed ambiguità non possono essere mantenute per un tempo illimitato poiché la gravità stessa della situazione di crisi obbliga ad una definizione. Il pensiero postmoderno, nel rifiutare una nuova chiarezza, o una definizione di contenuto, e pretendendo di vedere proprio in questo rifiuto il nuovo in generale, può fare appello soltanto al potenziale di barbarie in esso addormentato, preso in contropiede dalla sua stessa decisione priva di fondamenti. (Riassunto apparso sul n° 12 di Exit!)

Conflitti intorno alla verità * Dalla teorizzazione della politica alla politicizzazione della teoria * ( Dalla politicizzazione del privato alla privatizzazione del politico ) * All'ordine del giorno c'è la tattica, la strategia, il mimetismo, il camuffamento * Il dogma "anti-dogmatico" della postmodernità * Stringere la vite * Il posto nella storia come campo di battaglia delle idee * Svolta linguistica * Totalitarismo del linguaggio e cosa in sé * (Anti-essenzialismo ) *  ( L'atteggiamento esistenziale ) * ( Soggettivismo strutturale ) * ( La mancanza di basi della narrativa, costruzione/decostruzione e discorso ) * ( Critica dell'oggettività negativa o positivismo del discorso? ) * ( Relativismo storico e post-storia ) * ( Fare chiarezza sull'avversario e chiarire sé stessi ) * (Negare l'oggettività della verità ) * ( Dal positivismo dei fatti al positivismo della narrativa, della costruzione e del discorso ) * ( Storia della formazione e storia interna ) * ( Relativismo strutturale, senza concetto della totalità ) * La storia come campo di battaglia delle idee, le idee come armi della storia *

- I titoli fra parentesi sono quelli dei capitali che non Kurz non è arrivato a poter elaborare -

( Dalla politicizzazione del privato alla privatizzazione del politico )

All'ordine del giorno c'è la tattica, la strategia, il mimetismo, il camuffamento
Anche sotto quest'aspetto, ci sono state nuovamente differenti situazioni. In tempo di transizione, tutto diventa confuso ed insicuro. Quello che si supponeva essere comprovato, smetteva di esistere. Le scuole di pensiero e le istituzioni prima valide, si indebolivano, si decomponevano e si dissolvevano. Ma ancora non si imponeva niente di nuovo. L'incertezza sembrava aumentare fino a rendersi insopportabile. Proprio in tali situazioni, si sviluppano molte risposte e pseudo-risposte, concorrenti riguardo alle mutazioni ancora indeterminate; soprattutto, sorgono molte fazioni e scuole che lottano accanitamente fra di loro. C'è, per così dire, un predicatore della mutazione ad ogni angolo. Le cose sono differenti rispetto ai tempi che sono già passati attraverso la mutazione. Non è che fosse scomparso il conflitto sociale, ma tuttavia si era chiarificato, cosicché si erano costituiti grandi campi sociali e teorici in cui la frammentazione transitoria era stata superata. Si era arrivati ad uno stato apparentemente solido di nuove certezze in grado di spiegare tutta un'epoca.
Nella critica del capitalismo, oggi ci troviamo di nuovo, ovviamente, di fronte ad un tempo di transizione e di indeterminazione. Il vecchio paradigma del marxismo è entrato da tempo in decomposizione, molti dei suoi vecchi rappresentanti si sono chiaramente più o meno accomodati  al "capitalismo come destino". I concetti tradizionali di critica non sembrano più riferirsi alla realtà modificata, che tuttavia continua ad essere estremamente criticabile. Già negli anni 1980, il filosofo di famiglia, democratico tedesco, Jürgen Habermas, aveva proclamato la "nuova mancanza di trasparenza". Simultaneamente, prendevano il posto dell'economia politica "materialista", le cosiddette teorie postmoderne "culturaliste" che sommergeranno anche la critica sociale di sinistra. Da allora, il post-strutturalismo, il decostruttivismo, la teoria queer, fanno furore.
Tuttavia, dagli anni 1970 sono stati anche intrapresi tentativi di trasformare o di riformulare il marxismo, tentativi che in parte, esplicitamente o implicitamente, si sono amalgamati con i momenti di pensiero postmoderno. Nella teoria proveniente dal 1968, dalla precedente Nuova Sinistra, si incontrano differenti correnti, che avanzano tutte, le une contro le altre, pretese di validità. Almeno dalla fine del secolo, non possiamo fare a meno di vedere i nuovi profondi dissesti della crisi del capitalismo, diventato suppostamente incontestabile. La "dimensione materiale" - nella percezione del problema formulata nel gergo della teoria sociale ormai post-modernamente contaminata - si impone in maniera imbarazzante. In questa situazione, la lotta, apparentemente esoterica e lunatica, delle posizioni, correnti e scuole neo-marxiste o post-marxiste acquisisce una inaspettata rilevanza. Ora a maggior ragione si impone la questione dei criteri di orientamento nel campo dei conflitti teorici.

Il dogma "anti-dogmatico" della postmodernità

"Non è certo che tutto sia incerto"
- Blaise Pascal"

Nell'incertezza grandemente diffusa, il re-orientamento è tanto più difficile in quanto la teoria postmoderna tenta di immunizzarsi contro una possibile critica alla sua specie di critica del pensiero precedente (non ultimo quello marxista), di modo che essa apparentemente non promette di superare l'incertezza transitoria per mezzo di una nuova certezza storica, ma al contrario erge come un dogma la "perdita di tutte le certezze". Questa "perdita" non viene sentita come problematica, ma semmai come una sorta di successo, di cui sinceramente gioisce. Tutto è incerto, tranne il fatto che non si possono più avere certezze. Viene dichiarata come verità eterna quella che ora non c'è alcuna verità, neppure una verità storicamente limitata. Solo il relativismo dev'essere ormai assoluto. In questa determinazione formale per cui la verità che sarà prodotta è una pura questione di potere, come sollecita affermazione nel senso di "questione negoziabile" liberale, il contenuto sembra diventare arbitrario, o quanto meno sembra avere più di un senso. Già non è chiaro che proprio questo paradigma costituisce o corrisponde esso stesso ad un determinato contenuto che si pretende inattaccabile dalla lotta per la verità.
Se nei periodi precedenti di transizione, le persone che cercavano un orientamento teorico cadevano frequentemente con facilità nella falsa promessa di una certezza salvifica, ora, nella "egemonia del discorso" postmoderno, è proprio il rifiuto di qualsiasi certezza salvifica che è diventato, paradossalmente, la nuova certezza salvifica. Naturalmente, questo non è il superamento delle promesse di salvezza, ma soltanto il suo rovescio. La salvezza viene ora vista nel fatto che non è più necessario aggrapparsi a niente e lasciare aperte tutte le questioni. E' una forma specifica di sollievo che si basa su un'ignoranza specifica, e che soggettivamente consiste proprio nel sistemarsi nell'oggettività, secondo un processo cieco, così come un camaleonte cambia colore secondo l'ambiente circostante. Il soggetto postmoderno ora è verde, ora è rosa, ora è azzurro e a volte variopinto, maculato o tigrato, ossia queer al massimo grado, senza che con il suo cambiamento di colore riesca mai ad essere una qualsiasi cosa, neppure un camaleonte. Rimane, per così dire, un clown, o un giullare di corte del capitalismo di crisi.
A partire da questa posizione di fondo teorica "decostruttivista", i suoi rappresentanti si pongono come fondamentalmente avversi al conflitto, nel dibattito delle posizioni antagoniste nella critica sociale, e questo significa solamente che essi risolvono i conflitti in un'altra maniera. Si pretende che la lotta per la verità venga fondamentalmente negata, che tutte le posizioni teoriche desistano dalle loro rigide pretese di validità, si ammorbidiscano e mostrino le loro debolezze umane, fianco a fianco nella pacifica coesistenza, si relativizzino fino alla morte, e in questo senso "imparino l'una dall'altra" in modo tale che garantiscano che non ci sia mai niente di determinato.
Emerge così, inequivocabilmente, nell'apparente pacifismo del discorso, un'immagine chiara del nemico: viene dichiarata guerra a qualsiasi determinazione teorica e a qualsiasi pretesa di validità fondamentale. L'indulgente postmoderno è un partito belligerante che fa ciò che non è. Così assomiglia al democratico patentato, il suo alter ego, che pretende di concedere a tutti la libertà di esprimere liberamente la propria opinione, sulla base della propria solvibilità, eccetto ai nemici della libertà. Ai quali non viene permesso, dopo che il democratico patentato ha stabilito come funziona. Alla fine da qualche parte l'indeterminazione dovrà farla finita.
L'indulgente postmoderno è così aperto a tutto e ad ogni cosa. Non ha solo una pelle di camaleonte, ma anche uno stomaco di struzzo, dove tutto si deve accumulare e poi dev'essere eliminato senza conseguenze, per vie naturali. Gli piacerebbe trovare per tutto un momento di verità, ma anche, in qualche modo, mettere tutto in discussione. Perciò egli considera anche che tutto, in qualche modo, sia conciliabile con tutto. L'enfasi viene posta su "in qualche modo", poiché qualsiasi determinazione di contenuto è di già il diavolo; e per questo i fondamenti della ricezione e della critica deviano sempre verso il formale. Quello che viene criticato non sono tanto le cose in sé, quanto il loro rispettivo grado di pretesa di validità, di cui si deve prendere nota tanto più amichevolmente quanto minore è questo grado. Non si prende nota del contenuto, ma semmai dello stile che si pretende sia la cosa decisiva. Vince chi riesce ad abbassare la propria posizione fino a renderla irriconoscibile. L'unica posizione veramente valida dev'essere quella di non avere posizione alcuna, quanto meno nessuna posizione determinata e non aperta. Ma questa posizione del non assumere alcuna posizione in senso stretto, alla quale si potrebbe essere obbligati, viene affermata con le unghie e con i denti, poiché da qualcosa una persona deve pur essere guidata.
L'indulgente postmoderno amerebbe ottenere qualcosa in tal senso dalla critica radicale delle forme fondamentali del capitalismo, così come ugualmente da tutte le altre posizioni teoriche. Basta che non vada molto lontano, né delimiti bruscamente, rispetto agli altri, le sue determinazioni teoriche o analitiche. Potrebbe perfino essere possibile che la questione sia un'altra. La bomba a mano una volta smontata potrebbe anche essere un uovo di Pasqua, un vaso di fiori o un Babbo Natale stregato. Forse una persona si dovrebbe posizionare più o meno al centro, o tutte le percezioni ed interpretazioni si dovrebbero mischiare un poco e magari verrebbero tutte un pochino soddisfatte, poiché tutte hanno un po' di ragione, ma anche un poco di torto. Negoziamo!
Per questo l'indulgente postmoderno si vede costretto a criticare energicamente qualsiasi posizione quando essa diventa tendenziosa e non sempre riconosce anche il suo opposto. Questa critica è la simpatia in sé e le regole del gioco dicono che essa dev'essere recepita amabilmente. Ma se ad essa si risponde con un'anti-critica dotata di contenuto, allora viene stabilito che i criticati non riescono a sopportare una critica, sono dogmatici e non vogliono essere aperti ad opinioni differenti. Perciò, purtroppo, devono essere esclusi. Ma il peggio è quando a partire da una posizione, ne vengono criticate altre in maniera offensiva e polemica (horribile dictu!). Questo è quello che non può avvenire. Così i critici si rivelano essere persone che nel fondo sono totalitarie e pretendono di stabilire una dittatura sulla teoria. Ovviamente, devono essere esclusi a maggior ragione.
Si definisce così, in primo luogo, che cos'è la critica e chi può essere critico. Questo colloca l'indulgente postmoderno come arbitro di tutto, perfino dei suoi stessi riferimenti teorici. Il decostruttivismo smette di decostruirsi allegramente, con un sorriso da un orecchio all'altro, secondo le sue proprie direttrici, poiché il risultato è sempre il decostruttivismo. Questa teoria legittima l'assenza della teoria e perfino l'ostilità verso la teoria, che si può trovare in tutta la sua ricezione e che corrisponde al carattere sociale prodotto dal capitalismo di crisi nelle metropoli. In fin dei conti l'indulgente postmoderno non può essere considerato come il rappresentante di un modo di pensare, di una posizione o di un programma, ma semmai come il titolare di una situazione. Si è postmoderno così come si ha il singhiozzo, come si ha paura dei cani o come si è incontinenti.

- Robert Kurz(3 di 7 – continua …)

- Pubblicato sulla rivista EXIT! Krise und Kritik der Warengesellschaft, nº 12 (11/2014) -

fonte: EXIT!


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