L’appartamento spagnolo

Creato il 30 giugno 2012 da Melly @MElly

“Quando si arriva in una città nuova non ci sono che strade a perdita d’occhio e file di palazzi privi di senso, tutto è misterioso, vergine. Un giorno avrei abitato in questa città, percorso le sue strade, fin dove lo sguardo si perdeva; avrei esplorato questi palazzi, vissuto delle storie con questa gente. Vivendola, la città, questa strada l’avrei imboccata dieci, cento, mille volte.”

Oggi sono passata dalla fermata autobus/metro del Prado de San Sebastian, da cui passano i bus da e per l’aeroporto, e mi sono resa conto solo dopo una manciata di minuti che è la stessa fermata a cui sono scesa quando sono arrivata a Siviglia. Mi sono tornate in mente tutte le sensazioni e le paure del momento: io che prendo un bus seguendo parte della mia compagnia Leonardina senza aver capito un tubo sulla destinazione e su come muoverci una volta terminata la corsa, la gente che parla spagnolo, anzi, andalùz, e mi manda in frantumi il cervello, le strade… quelle strade nuove, così diverse dalle nostre, con le case con le verande e i terrazzi così stretti che non ci si può stare sopra in tre persone.

Quando esco dall’aeroporto mi sento catapultata nella realtà di una città che non mi aspetta, che non sa del mio arrivo. Mi trovo spaesata, incuriosita, a tratti sola. La prima sensazione che ho è quella del clima sulla pelle. Ogni volta che scendo dall’aereo mi tocco il viso o i bracci, un po’ come se toccassi con mano il clima. Ho sentito il caldo torrido di Siviglia, il vento freddo di Londra, il vento caldo delle Canarie, il clima umido di Parigi, il caldo assassino della Thailandia e quello del Messico… Tutto sulla mia pelle. Poi alzo lo sguardo, mi osservo intorno come se fossi venuta al mondo per un’altra volta. E’ tutto nuovo, le persone parlano, dicono cose di cui non capisco una parola, hanno caratteristiche fisiche diverse, modi di fare opposti. E poi guardo le strade. All’inizio, in taxi o in bus, osservo con una curiosità distaccata: ma davvero? certo che qui è proprio bruttino…. Ma poi mi rendo conto di esser rintronata dal viaggio e che sono ancora in periferia! Il centro, la vita, i quartieri sono ancora lontani. Arrivo al capolinea e mi sento ancora più spaesata: se prima avevo la certezza di essere all’aeroporto, adesso potrei essere anche in capo al mondo, non me ne accorgerei. Tutto mi sembra messo insieme a casaccio, non trovo senso a niente; le strade mi sembrano viali infiniti.. è tutto un mistero, è tutto nascosto e così nuovo. E la novità non mi spaventa, anzi.

Arrivo alla meta, alla mia nuova casa. Quella casa che inizialmente sa di stanza di albergo, che mi pare fredda e impersonale, nel giro di poche ore diventerà casa mia. Il mio bagno, il mio letto, il mio armadio. I miei coinquilini. Dopo due mesi posso mostrare la città ai miei amici che arrivano a trovarmi da lontano, posso portarli a casa mia. Posso far conoscere loro quelle strade che prima mi sembravano tanto sconnesse con la mia realtà, posso mostrare gli edifici in cui sono entrata, raccontare momenti di vita nella mia città.

Il cambiamento è duro, la lontananza da casa non è sempre facile… mi mancano a famiglia, gli amici, il mio gattino, la mia macchina. Prendere e partire non è mai semplice, la paura dell’ignoto si fa sentire, ma il sapore di nuovo è  troppo più forte. Un po’ come quando si indossa un nuovo paio di jeans, di quelli che pensi ti snelliscano e allora togli felice il cartellino e li indossi. Sono duri, stretti, ma sai che con un po’ di tempo diventeranno più morbidi e si allenteranno. Il primo impatto è sempre forte, a tratti spiazzante ma con il tempo ci si abitua. La strada che percorri ogni mattina diventa tua, le persone che vivono nella tua casa diventeranno i tuoi conviventi, la lingua che parlerai sarà la tua nuova lingua. Il posto in cui sei qui ed ora, è la tua casa.

Lo è stata Parigi e adesso lo è Siviglia. Ora che ho assaggiato il mondo, non posso certo fermarmi.

Sharamelo!


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