Insomma, c’e’ sta tipa italiana che ho conosciuto a Brisbane sei anni fa. Si usciva tutti insieme in compagnia, in sette-otto persone, di cui il 90% italiani. Siamo usciti per un po’ di mesi, dopodiche’ lei e’ tornata in Italia e abbiamo praticamente perso i contatti. A parte facebook, s’intende. Da allora l’ho vista credo una o due volta in Italia quando sono tornato, sapete no quelle cene che si organizzano tipo rimpatriata. Sentiti zero, ma d’altronde a parte quelle due parole di circostanza e l’uscire in gruppo non si e’ mai avuto altro rapporto.
La settimana scorsa, ad anni di distanza, mi scrive un lunghiiiiiissimo messaggio su facebook. Prima ancora di leggerlo gia’ avevo capito cosa voleva: naturalmente aveva bisogno di qualcosa. La sorella, dice, si e’ appena laureata, ha fatto questo e quell’altro, e vorrebbe dei consigli su come trovare uno stage o un lavoro in Australia. Io le rispondo con un messaggio lungo il doppio del suo: le spiego come fare, dove cercare, e poi naturalmente cosa penso, cosa consiglio a sua sorella.
A una settimana dalla mia risposta non ho ricevuto neanche un misero grazie. (Non dico una risposta, un "grazie Albi" sarebbe stato sufficiente eh). Vi sembrera’ strano, ma io a sta cosa ci penso di continuo. Penso alle persone per cui tutto e’ dovuto. Alle persone che pensano che per me sia tutto facile visto che vivo in Australia. Alle persone che pensano che io abbia le dritte piu’ fiche del mondo per come trovare lavoro in Australia.
Penso all’italianita’, che fa ancora rima con nepotismo, per carita’ soprattutto nelle zone da cui proviene lei (centro Italia), ma anche nelle zone da cui provengo io non e’ che scherzino. Penso alla gente che ti scrive chiedendoti un consiglio, ma in realta’ quello che ti sta chiedendo e’ un paraculo. Penso alla gente che ti scrive solo quando ha bisogno, e mi chiedo se valga la pena di tenersi gente cosi’ anche solo tra i contatti di facebook. E poi penso a me, al fatto che un tempo le avrei riscritto e avrei iniziato una polemica per farle capire che non ci si comporta cosi’.
Ma le cose sono cambiate. Ora, come scrivevo l’altro giorno, uso il metodo giapponese. Che consiste nel lasciare che le cose fluiscano e facciano il loro corso, senza prendersela e senza cercare di cambiare il mondo ogni volta. Che significa che non cancello il contatto su facebook, e mi guardo bene dall’innescare alcuna polemica. Significa che non sta certo a me raddrizzare le brutte abitudini altrui e insegnare l’educazione a una tipa di trent’anni.
Ma significa anche che quello che le ho scritto l’altro giorno, statene certi, e’ l’ultimo messaggio che esce dalla mia casella indirizzato a quella persona.