L’appuntamento del 13 aprile potrebbe rappresentare una data decisiva. Tornano in campo, questa volta insieme, i sindacati, dopo tanti distinguo, tante polemiche, spesso poco chiare alla moltitudine dei mondo del lavoro. Non solo Cgil, Cisl e Uil, stavolta, ma anche l’Ugl.
Non è la prova di un superamento delle difficoltà ma può rappresentare l’inizio di un nuovo cammino, la consapevolezza che solo stando insieme si può realmente incidere negli equilibri politici e aiutare a trovare soluzioni. La motivazione dello sciopero riguarda i cosiddetti “esodati”, nonché i lavori usuranti. Il linguaggio burocratico nasconde una realtà che grida vendetta al cielo.
Trattasi di donne e di uomini (centinaia di migliaia), non più in tenera età, che avevano accettato di lasciare l’azienda dove avevano trascorso gran parte della propria vita per incamminarsi verso la pensione. Persone che nel ciclone della crisi non possono certo confidare in nuovi lavori. Sono stati condannati dall’ultima ennesima riforma previdenziale. Sono rimasti come in una tagliola disperante. Non avranno più né lavoro né salario né pensione. Fermi in mezzo al guado, privati di un reddito qualsiasi. Un inganno atroce. Simile a quello che ha colpito altri lavoratori chiamati a sborsare cifre esorbitanti per poter ricongiungere contributi pensionistici versati in gestioni diverse. Cioè gente colpevole di non aver inseguito il posto fisso a vita.
Un intervento risanatore è inderogabile e bisognerà certo, trovare risorse aggiuntive, oltre quelle derivanti da tutti gli interventi sull’aumento dell’età pensionabile.
Un significativo appuntamento unitario, dunque, quello del 13 aprile. Lo si può in qualche modo collegare a tante manifestazioni, specie nel settore metalmeccanico, che in questi giorni stanno svolgendosi nel paese. E’ un movimento che in molte occasioni ritrova, appunto, adesioni unitarie e non della sola Fiom-Cgil. Un movimento che può accompagnare positivamente il dibattito in sede parlamentare su altre scelte, come quelle che interessano la riforma del lavoro.
Sul tema stesso dell’articolo 18 sembra notare come sia possibile constatare un avvicinamento di posizioni tra Cgil, Cisl e Uil, onde impedire che i licenziamenti per discriminazione possano apparire anche sotto le forme di licenziamenti economici. Una formale proposta unitaria potrebbe incidere, proprio per questa sua caratteristica, sulle posizioni anche di forze politiche come il Pdl, meno disponibili a una correzione. Ed è un peccato che tale impostazione convergente non abbia potuto mostrarsi con tutta la sua forza convincente nel corso delle pur strane e confuse trattative a Palazzo Chigi. Dove semmai è emerso qualche patriottismo di organizzazione in più.
Ritrovarla ora una mossa unitaria sarebbe un modo per far risorgere dalle ceneri, in altri modi, quella “concertazione” data per spacciata. Dato per spacciato, in realtà, è il ruolo stesso del movimento sindacale e il mondo che rappresenta. C’è la convinzione, anche in una cerchia o cenacolo d’intellettuali accademici, anche di centrosinistra, che solo così, solo offrendo un qualche scalpo vistoso, solo colpendo davvero le condizioni dei salariati, si opera per il bene dei salariati stessi e dei mercati ansiosi di prove.
Io credo che non sia un complotto, ma un disegno miope oltre che ingiusto. Solo un Paese coeso che sa rispettare il ruolo di soggetti intermedi e non trattarli come “consulenti sociali”, può accompagnare una fase di sacrifici equamente distribuiti. La boria intellettuale non serve. I sindacati tanto vilipesi sono quelli che hanno accompagnato le grandi ristrutturazioni industriali, i grandi accordi per entrare nell’Euro. Possono essere decisivi anche oggi in una fase in cui è in gioco ben di più di quanto era in gioco, per fare un esempio, negli anni novanta. Ma se la casa brucia non si può confidare solo in un manipolo di provetti vigili del fuoco. Occorre uno sforzo collettivo e consapevole, da raggiungere non a colpi di ultimatum.