L’Aquila.

Creato il 01 ottobre 2012 da Philomela997 @Philomela997

I Monologhi di Sana – Rubrica

Questo monologo è stato scritto in cartaceo la sera stessa che sono tornata da L’Aquila; ho avuto modo di visitare il centro e la “zona rossa”, quello che ho visto e provato non potrà mai essere descritto abbastanza dettagliatamente dalle parole, ma mi ero ripromessa di parlarne.

Polvere.

Cammino per queste strade deserte.

Angoscia, infinita angoscia.

Cigolii sinistri.

Aria immobile.

Polvere, non resta che polvere.

Vite disperse

come lacrime al sole.

Mi sento inutile, insignificante davanti a tanta devastazione, a tanta paura, a tanto dolore.

È uno spettacolo di morte e rassegnazione.

Il cuore mi batte appena.

Che diritto ho, di stare qui?

Che diritto ho, di provare queste emozioni?

Mi sento partecipe e ladra al contempo,

mentre osservo le macerie di troppe vite.

…polvere…

Sulla pelle, sulle mani.

Ho paura.

Tremo.

E le parole non si decidono ad uscire.

Ho un grido di orrore e terrore strozzato in gola.

Sfioro appena il legno di una porta,

e rabbrividisco,

parla della terra che trema e inghiotte.

Parla di un terrore cieco.

Piego la testa e le gambe tremano.

Mi siedo su una pietra, osservo i tetti distrutti;

persino le lacrime sono timide e non si decidono ad uscire.

Il vento del pomeriggio solleva folate di polvere.

Ed io sto seduta sulla pietra e guardo i tetti.

Non riesco a piangere, non posso urlare.

Stringo i pugni, con tutta la forza che ho.

L’ingiustizia ha un peso troppo grande.

Assale e schiaccia,

senza pietà.

Velo gli occhi con le lenti scure, forse

mi dico,

ora piangere sarà più facile.

Ma resto ferma e osservo i tetti.

Per interminabili minuti.

E poi, di colpo, esplode.

È un pianto di rassegnazione, di paura, di rabbia.

Perché non è giusto, morire così.

Perché non è giusto, distruggere vite in idolatria a qualcosa di tanto bieco.

Perché delle vite sono state spezzate, da un sorriso ironico e sacchi di sabbia.

Perché tante di quelle vite dovevano ancora sbocciare.

Penso a me, quando avevo quindici anni.

Alla fame di vita che avevo.

Ai sogni che facevo.

E non è giusto.

No, non lo è.

Perché nessuno ha pagato per aver distrutto quei sogni?

Perché io piango la fine di vite innocenti e non la sua?

Odio.

Mi cresce in petto.

Il respiro si fa di fuoco.

Questa gente merita giustizia.

Si.

MERITA.

È un suo diritto.

E qualcosa mi balena dentro.

Io posso fare qualcosa.

Io VOGLIO fare qualcosa.

Io non voglio rassegnarmi.

Non voglio essere una di loro.

E il respiro manca, mentre mi stringo le ginocchia al petto.

E di fronte a tutto questo orrore il pensiero va per conto suo.

Flash della notte di ieri

si mescolano alle immagini di morte.

Siamo giovani e arroganti,

siamo affamati di vita ed emozioni,

ridiamo.

E parliamo di tutti quei sogni che popolano la nostra coscienza.

Di tutte quelle cose che in questa vita non vanno.

E la notte ha un sapore dolce, di sogno e libertà.

Stesi con il naso all’insù fissiamo le stelle tenendoci per mano.

Siamo il piccolo centro pulsante del mondo.

È una reazione riottosa, quella della mia testa

come se dovessi risalire a respirare.

Come se mi dovessi aggrappare spasmodicamente alla cosa più viva che esista,

per combattere tutta questa morte.

E niente è mai stato più vivo e ingenuo e felice di noi, ieri.

È un grido di Vita, quello che mi irrompe nella mente.

È un grido di Speranza.

Allargo la visione e finalmente la vedo,

la vita che irrompe,

una piccola sfera luminosa in mezzo a tanta devastazione,

germogliata dal caso e dal caos,

splendida nella sua imprevedibilità.

Sono stremata, spaventata, intristita.

In un solo gesto mi levo gli occhiali e mi alzo,

fronteggio questo spettacolo con gli occhi pieni di lacrime,

mi costringo a guardare.

Mi riprometto di parlare.

Dell’impotenza, dell’orrore, della rabbia…e della vita.

Che arriva prepotente, nei modi e nei luoghi più impensati, e non si può fermare.

“(…)Volò fuori un cosino bianco, piccolo come la più piccola delle tignole.

Solo a vederlo Pandora si sentì un po’ consolata.(…)

-   Che tipo di malvagità sei, tu?- chiese

-   Io sono…la Speranza- mormorò la creaturina e volò via a dar battaglia a tutti i mali odiosi.(…)”