L’Aquila, 4 anni dopo

Creato il 05 aprile 2013 da Tabulerase

È un silenzio fastidioso quello che mi  accoglie a l ‘Aquila il giorno della domenica delle Palme. A distanza di quasi 4 anni la città, travolta dal terremoto la notte del 6 aprile, conserva intatto lo stato di abbandono. A nulla sono valse le retoriche e le false promesse dei politici di turno che si sono avvicendati. La realtà è che sono stati abbandonati gli Aquilani e la loro città. Un reportage di Mente & Cervello segnala la sempre maggiore diffusione delle patologie psichiche tra la popolazione che, prima spaventata, poi disorientata e poi offesa  fatica a ritrovare se stessa e la propria identità geografica, tanto che il consumo di alcool e psicofarmaci, pare, sia aumentato del 300%. La maggior parte vive nelle case prefabbricate in una periferia, sempre più estesa, recanti per distinzione solo un codice alfanumerico, manco si giocasse a battaglia navale.

La prima tappa, dopo la fontana delle 99 cannelle, completamente ripresa, seppur tra le case sfasciate, è la basilica di Santa Maria di Collemaggio.La facciata è integra, ma lo sconforto, entrando, si prova all’interno:si celebra la Santa Messa tra i fedeli, le palme,ed un susseguirsi di puntellature alle colonne delle navate con il tetto sull’altare rovinosamente ceduto. Via Santa Giusta non è percorribile, così come la chiesa, in attesa di una sua definitiva sistemazione.Ad accogliermi in Piazza Duomo è uno piccolo gruppo di signore che vendono le tipiche colombe pasquali aquilane per raccolta fondi a favore della Caritas. Una di esse mi indica, asciugandosi le lacrime, le poche vie che posso percorrere  e la chiesa di San Giuseppe, l’unica recuperata totalmente nel centro storico dove si consacrano e benedicono le palme dei credenti. Per il resto, la maggior parte delle strade sono bloccate al transito, a tutto fanno cornice le impalcature e le transenne.

Si incontrano solo sparuti turisti “delle macerie” e concittadini che non si arrendono a trascorrere un giorno di festa lontano dalla propria chiesa o dal proprio quartiere. Il Corso Vittorio Emanuele, così come il Corso Federico II,  si può percorrere quasi per intero, se non fosse per qualche zig-zag deviante da lavori in corso. Al piano stradale hanno riaperto alcuni locali, i quali trasmettono musica ad alto volume anche all’esterno, quasi a voler ricordare che lì, in quel preciso punto, c’è ancora vita . Un barista, con spirito rassegnato, mi racconta che ha riaperto grazie ai suoi soli sforzi e che tutto è immobile e che i cantieri sono eternamente fermi per carenza di fondi. Un paio sono i ristoranti e tavole calde che servono piattti tipici, per il resto tutta la vita commerciale si è spostata in periferia. Attraversando le varie viuzze di raccordo, consentite ai pedoni, fa impressione vedere le vetrine dei vari franchising, che sovraffollano le nostre città, sventrate con i vetri rotti e gli interni pieni di calcinacci.

Tutti i palazzi sono all’interno vuoti, disabitati e puntellati.Il tempo si è fermato ed è quasi soffocante la  percezione di sospensione immediata che si è verificata da quella tragica notte. Pare quasi di avvertire lo sgomento e la paura concitata che è stata provata. Tutto è rimasto immutato da quell’istante di fuga.  Il susseguirsi dei vari ponteggi e delle speciali puntellature fa pensare, paradossalmente, a delle installazioni di opere d’arte contemporanea. Lo scenario è di guerra, anche per la presenza, pare tra l’altro non molto bene accetta degli aquilani, di militari sonnacchiosi ed annoiati al cospetto di quest’immobilismo polveroso.

Si ritorna dall’Aquila con un profondo senso di sgomento e rabbia. Rabbia per l’incuria e la scelleratezza e la spregiudicatezza dei nostri governanti. Rabbia per la rassegnazione che ho visto ed udito dalle parole degli abitanti. L’Aquila è una città, oggi, di paradossi. Una città da dopoguerra, dove non girovagano neanche più i cani randagi.

Le foto del reportage