Nel 2009 sulle macerie de l'Aquila venne tirato su il più grande spettacolo politico mediatico della storia italiana. L'allora presidente del consiglio, attorniato dal codazzo di giornalisti, dei vertici della protezione civile, allestiva qui il suo show: le case de l'Aquila sono distrutte? Noi costruiamo ex novo delle casette, nelle famose new town. Il resto della popolazione veniva rinchiusa nelle tendopoli, al riparo da telecamere indiscrete e giornalisti impiccioni (avete visto il film documentario di Sabina Guzzanti, Draquila?).
Il paese assisteva incredulo allo spettacolo: allora è proprio vero che nel momento del bisogno, della tragedia sappiamo tirare fuori il meglio di noi stessi.
Chi si permetteva di criticare i progetti faraonici del presidente, veniva tacciato di disfattismo, di sciacallaggio. Vauro, per la sua vignetta con Berlusconi nelle vesti di Nerone, fu squalificato da Annozero per una puntata. Sciacalli.
I cittadini che con le carriole volevano protestare, contro l'immobilismo, venivano schedati e indagati dal prefetto.
Dopo cinque anni, abbiamo visto quale è vera situazione de l'Aquila. I lavori che riprendono troppo lentamente, legati come sono alle disponibilità finanziarie degli enti.
Le casette del progetto C.a.s.e. sono costate uno sproposito, si doveva fare in fretta, e ora cadono anche a pezzi.
Molti centri rimangono e rimarranno disabitati. Chissà quando a l'Aquila si tornerà a sorridere.
Fino ad oggi, a sorridere sono stati i politici che ogni volta passano qui in passerella e poi se ne vanno.
I loro imprenditori amici, che si leccavano i baffi per l'occasione d'oro del terremoto.
Tutto questo perché si volle fare in fretta, in deroga alle leggi. L'uomo solo al comando coi suoi fedelissimi, cui il paese doveva concedere carta bianca perché ci avrebbe pensato lui, agli sfollati, alle case, perfino alle dentiere delle vecchiette.
Tutto questo dovrebbe farci riflettere su quanti oggi fanno altrettanto promesse, per portare avanti riforme in fretta, per fare bella figura in Europa. Ma forse questa è un'altra storia.