L’aquila si è posata sull’Asia centrale

Creato il 15 maggio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

La firma del patto strategico tra USA e Afghanistan da parte di Barack Obama e Hamid Karzai è senza dubbio una pietra miliare per la sicurezza della regione. Una presenza militare statunitense di lungo periodo nell’area è divenuta una realtà impellente per tutti i Paesi confinanti con l’Afghanistan, e Obama ha allontanato ogni scetticismo circa la determinazione di Washington a restare impegnata nella stabilizzazione della regione: l’ombra della persistenza americana cadrà sulle steppe centroasiatiche, mettendo a rischio anche il progetto di Vladimir Putin per un’Unione euroasiatica. La stessa Cina dovrà confrontarsi con lo stanziamento di migliaia di soldati statunitensi ai confini con lo Xinjiang.

Riguardo all’accordo, il fact sheet della Casa Bianca conferma la «presenza duratura degli USA in Afghanistan» e sostiene che non ci saranno «basi militari permanenti». La questione, però, è tutta semantica, poiché Kabul «si impegna a garantire al personale statunitense l’accesso alle installazioni afghane e il loro utilizzo oltre il 2014», ma è chiaro che il Paese avrà difficilmente il controllo sulle strutture che accolgono le truppe e il materiale bellico di Washington.

La nota governativa sul trattato afferma, di fatto, che le unità combattenti e le forze speciali americane rimarranno in Afghanistan. Un accordo bilaterale sulla sicurezza (da intendersi come uno Status of Forces Agreement) sarà concluso entro un anno. In modo interessante, gli USA insigniranno l’Afghanistan della qualifica di «maggior alleato non-NATO», cosicché le relazioni tra i due Paesi diverranno fondate su una «cornice per la cooperazione di lungo periodo nei settori della sicurezza e della difesa».

Firmando rapidamente l’accordo, a poco più di una settimana dall’inizio delle trattative, Washington ha agito al meglio, poiché esiste sempre il rischio che tutto vada storto, come dimostrato dall’esperienza irachena. La situazione in Afghanistan è instabile, Karzai ha una personalità volubile e ci sono attori che farebbero carte false pur di veder naufragare il patto. Paradossalmente, i recenti attacchi dei talebani a Kabul potrebbero aver creato nell’opinione pubblica un clima ideale per la permanenza dei militari stranieri, con il Parlamento afghano che dovrebbe ratificare il trattato quanto prima, forse già la prossima settimana.

Anche le potenze regionali sono rimaste in silenzio: l’Iran si sta preparando per i colloqui del gruppo P5+11, a Baghdad, il 23 maggio; la Russia è impegnata con la transizione al Cremlino; la Cina non esprime mai apertamente opinioni sulle basi USA in Afghanistan, mentre l’India è tacita sostenitrice di un impegno di lungo periodo nella regione da parte degli Stati Uniti in quanto artefici e garanti della stabilità del Paese.

La problematica fondamentale riguarda l’atteggiamento di Islamabad verso Washington, questione che, tecnicamente, sarebbe affare tra due Stati sovrani. Tuttavia, il Pakistan deve tenere in conto alcune considerazioni esterne, quali l’opposizione profonda dei talebani (almeno formalmente) alla presenza degli americani; l’opinione pubblica; i propositi futuri degli USA; i limiti all’influenza pakistana sulla struttura di potere a Kabul. Da parte mia, però, ritengo che il Pakistan imparerà a convivere con una prolungata presenza di truppe in Afghanistan, magari tentando di volgerla a proprio vantaggio. I vertici militari di Rawalpindi sono certamente coscienti dell’inutilità di un confronto con Washington, e cercheranno di approfittare della dipendenza statunitense dalle vie di transito che passano dalle regioni pakistane. Non è da escludere, poi, che l’impegno continuato degli USA in operazioni contro gli insorti afghani possa distrarre i militanti talebani dal Pakistan. In breve, per Islamabad, è giunto l’inderogabile momento di decidere quale Afghanistan desidera avere ai propri confini: non tutto il male vien per nuocere.

Il punto è che, nello stallo tra Stati Uniti e Pakistan, il ghiaccio, ormai, è stato rotto: i protagonisti sono esperti nel negoziare tra loro, e sanno che non possono fare a meno l’uno dell’altro sullo scacchiere afghano. A Chicago, durante il vertice NATO, il primo ministro Yousuf Gilani avrà con Barack Obama un altro incontro, che renderà più o meno chiaro il margine per il riavvio delle relazioni tra i due Paesi. In sostanza, il Pakistan si piegherà come una canna al vento; e il vento sta soffiando in favore di Obama.

(Traduzione di Beniamino Franceschini)


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