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L’ Arabia Saudita e la Rischiosa Geopolitica del Basso Prezzo del Petrolio

Creato il 27 gennaio 2016 da Gianluca Pocceschi @geopolitiqui

La regola generale vuole che ad una diminuzione del 10% del prezzo del petrolio accelera la crescita del Pianeta di 0,1 – 0,5 punti percentuali. Negli ultimi 18 mesi il valore è caduto del 75% passando da 110 dollari al barile a meno di 27 dollari.  Questa volta i benefici sono meno certi. Arabia Saudita permettendo.

Sebbene i consumatori hanno guadagnato, i produttori stanno soffrendo gravemente. Gli effetti si stanno espandendo nel mercato finanziario e potrebbero presto deprimere la confidenza dei consumatori.

Era il novembre del 2014 quando l’ OPEC (l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio), forzata dalla mole dell’influenza dell’ Arabia Saudita, decise di mantenere i rubinetti aperti malgrado la discesa del prezzo del petrolio. L’economia ha la fama di essere complessa e fraintesa, ma in questo caso l’aberrazione economica risulta molto chiara. Un produttore mira ad avere alti margini con massimi ricavi ai minimi costi e minimo dispendio di materie prime. Mantenere alto il prezzo riducendo l’offerta risulterebbe la via più economica da percorrere per un produttore di petrolio. Ma non vale quando entra in gioco la malattia dell’influenza Geopolitica.

Risultato?

Il mondo sta affogando nel petrolio. Siamo passati dai 22 milioni di b/d del febbraio 2013 ai 97 milioni di b/d del gennaio 2016. L’ Arabia Saudita sta pompando quasi alla sua massima potenza. E’ opinione diffusa che i sauditi desiderano cacciare dall’industria petrolifera i produttori deboli capaci solo di avere margini di guadagno con alti costi. Nell’epurazione vorrebbero inserire i produttori americani di olio di scisto, la nuova frontiera del petrolio, che hanno aumentato la produzione statunitense dai 5 milioni di barili al giorno (b/d) del 2008 ai più dei 9 milioni b/d di oggi.

L’Arabia Saudita stessa dovrà essere preparata a molte sofferenze per cercare di bloccare l’ Iran, l’acerrimo rivale, che si appresta a ricongiungersi al mercato mondiali dopo 5 anni. L’eliminazione delle sanzioni che avevano portato la potenza persiana dai 1,5 milioni di b/d ai, per cosi dire miseri, 500.000 di b/d, rilanciano questo paese ricco di petrolio con un potenziale di 3 – 4 milioni di b/d.

Il petrolio gioca un ruolo centrale nell’influenza sui mercati emergenti. In Russia, con il PIL in caduta, senza l’introiti petroliferi il governo potrebbe affrontare una crisi di bilancio nei prossimi mesi e già si annunciano tagli alla spesa del 10%.

Nel Venezuela isolato, del braccio di ferro tra il presidente Maduro e il nuovo Parlamento l’inflazione viaggia al 140% e il prezzo del petrolio così basso riduce ancor di più l’emersione da questa fossa delle Marianne. La grave crisi ha costretto il governo ha dichiarare lo Stato di emergenza.

Altri produttori di Oro Nero gravitano in abissi meno profondi con acque sempre e comunque colorate di crescita debole, valuta in caduta libera, inflazione importata e stretta monetaria. E’ il caso del Messico e della Colombia che hanno alzato i tassi d’interesse a dicembre. La Nigeria cerca di razionalizzare i dollari nel disperato tentativo di rilanciare la sua valuta.

Le manovre della dinastia Saud hanno però qualcosa di incalcolabile anche per loro stessi. La Saudi Aramco, il più grande produttore di petrolio del Pianeta sembra preannunciare un OPA, un piano cioè di vendita di azioni che dal 1975 sono detenute al 100% del capitale dal governo saudita. Intendiamoci, si tratta di un 5% corrispondente a un valore di una decina di miliardi di dollari, ma è pur sempre un segno di concessione alle agognate richieste di riforme.

Altro aspetto è il 15% di deficit che potrebbero portare il debito pubblico a minare i forzieri della penisola arabica e un giorno magari remoto alla necessità di aiuti da paesi poco inclini alla misericordia islamica, ma più propensi a bisogni più stringenti come i diritti civili e politici e magari qualche rifugiato da ospitare.

Intanto, Riad si salva tagliando la spesa pubblica e iniettando petrodollari nella sua malata economia. Forse, in un prossimo futuro prima di ammalarsi di Geopolitica, tanti paesi misericordiosamente si vaccineranno.


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