L'arbitro
Creato il 18 settembre 2013 da Veripaccheri
L'arbitro
di Paolo Zucca
con Stefano Accorsi, Gepy Cucciari, Benito Orgu
Italia 2013
genere, commedia
durata, 96'
Il
titolo
del film con i rimandi alla commedia boccaccesca dei vari Lando
Buzzanca
e Renzo Montagnani contribuisce non poco a confondere le acque. Eppure
"L'arbitro" di Paolo Zucca pur rientrando nel contenitore assai vasto
della commedia dirada fin da subito ogni dubbio sulla sua paternità,
andandosi a
cercare i propri modelli nell'opera degli autori nobili del genere,
quelli che hanno reso grande il nostro cinema, e poi per tornare ai nostri tempi a quella dei Cipri
e Maresco di "cinico tv". Di fronte a noi infatti abbiamo
non solo un ritratto di costume della
nostra società ma anche l'idea di un italianità spogliata degli antichi
fasti e
sepolta da un cumulo di conflitti e di macerie. Per rappresentarla
l'esordiente
Paolo Zucca sceglie la Sardegna, e la rivalità tra due squadre di calcio
dilettantistiche, il Pabarile ed il Montecrastu, destinate ad
affrontarsi in
una partita di calcio che dovrà decidere le sorti del campionato e
soprattutto
la leadership di una delle due confraternite. Come in una valigia a
doppio
fondo Zucca si concentra sulle dinamiche relazionali che porteranno allo
"scontro" decisivo alternandole con le vicissitudini di Cruciani,
arbitro di livello internazionale impegnato a garantirsi con ogni mezzo
la
finale di una grande competizione europea. Apparentemente lontane per
ambizioni
e luogo geografico le due vicende sono destinate ad incontrarsi in un
finale
tragicomico dopo aver sciorinato da ambo le parti la propria dose di
miserie e nobiltà
ed aver esibito una galleria di "brutti sporchi e cattivi" da museo
lombrosiano.
Fotografando
la sua storia con un elegante bianco e nero Paolo Zucca raggiunge fin
da subito
due obiettivi: il primo, di ordine estetico, gli permette di stabilire
un equilibrio
formale che influenza non solo la composizione delle singole
inquadrature, caratterizzate da un controllo e da una ricercatezza
veramente sui generis per
un prodotto del genere, ma anche le psicologie dei personaggi, tutte
quante,
anche quelle più estreme (da Brai, mefistofelico possidente terriero a
Prospero, allenatore non vedente) tratteggiate con un sorta di fiero
pudore che fa da
contraltare al climax parossistico di alcune situazioni: basterebbe
pensare alla sequenza d'apertura giocata sul filo del rasoio e della
sfida con un confronto di sguardi da cinema western, oppure alle
reazioni di Cruciani rispetto al rovescio che rischia di mettere fine
alla sua carriera. Il secondo invece, più legato ai contenuti
è utilizzato per collocare la vicenda in uno spazio temporale
indefinito,
particolare ed insieme universale, in cui Zucca fa confluire una serie
di
suggestioni che rappresentano la parte più interessante del film.
Puntando i riflettori sulle gesta atletiche di Matzutzi, il figliol
prodigo tornato a casa per esibire il proprio talento calcistico nelle
file dell'atletico
Pabarile, Zucca si costruisce il movente per giustificare una serie
d’intermezzi che si rifanno ad un repertorio raffinato e stravagante di
cui il calcio è solo un pretesto:
dalle atmosfere del ventennio ricordate dalle musiche dell'epoca ("Vivere", di Cesare Andrea Bixio) e parodiate
con sequenze che alla maniera dei filmati dell'istituto luce trasformano un
allenamento arbitrale in un esibizione della gioventù fascista, a squarci che
sembrano omaggiare l’epoca del muto con Accorsi trasformato in un Rodolfo
Valentino dei campi di calcio, e poi ancora tormentoni da cinema non sense che
fanno il verso alla laconicità del popolo sardo ed al suo essere "mondo a parte"nella cadenzata propodizione del botta e
risposta tra due ignoti pastori.
Sulla
falsa riga dell’affermazione messa in bocca al sanguigno allenatore del
Parabarile “Il pallone è aria rivestita di cuoio”poi ribadita da una sequenza finale (il goal realizzato con
un pallone inesistente) che sembra dirci come l’esistenza sia soprattutto un
fatto mentale, Zucca parte da elementi reali - il paesaggio sardo e la sua wilderness, l’umanità ferina e tracotante
scolpita nelle espressione di volti che sembrano rispecchiare la bellezza senza
compromessi di quella terra, le partita di calcio con i suoi risultati -e poi li trascende con una narrazione
che diventa a tratti grottesca, altre volte surreale, e che nel personaggio di
Cruciani, titolare di una religiosità utilizzata come doping
motivazionale intercetta quella commistione tra sacro e
profano, farsa e tragedia che da sempre costituisce uno dei cardini
della commedia all'italiana ed insieme l'anima più vera del nostro
paese. In questo senso l'esordio di Zucca dimostra un ambizione
corroborata solo in parte dai risultati. Se infatti originalità e talento visivo riescono a condensare in maniera
equilibrata la varietà degli ingredienti impiegati così non succede sul piano della scrittura che forza le psicologie dei protagonisti per far convergere i
due filoni della storia, se ne dimentica qualcuno per strada ( la Miranda di Gepy
Cucciari per esempio) e che non riesce a fornire una drammaturgia capace di arginare la preponderanza dell'impianto formale. A risentirne è la temperatura emotiva del film attraversato da passioni e sentimenti che non riescono mai a raggiungere il cuore dello spettatore.
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