L'area sacra di Sant'Omobono, gli déi prima di Roma

Creato il 17 maggio 2013 da Kimayra @Chimayra

Acroterio della statua di Athena

Il Foro Olitorio a Roma era anticamente una piazza dove si vendevano le verdure. Proprio nel Foro Olitorio sorgeva l'area più sacra di Roma, i cui ruderi sono tuttora visibili: l'area sacra di Sant'Omobono.
L'area prende attualmente nome dalla vicina chiesa, posta in posizione elevata rispetto ai resti archeologici. Questi ultimi sono, per la verità, piuttosto scarsi e confusi, ma questo non deve trarre in inganno chi si sofferma a guardarli. Qui sono stati ritrovati, nel corso degli scavi archeologici fatti durante un lungo lasso temporale, frammenti ceramici dell'Età del Bronzo che facevano parte della terra utilizzata per sopraelevare l'area sacra. I frammenti, però, è stato appurato, venivano dal vicino Campidoglio dove vi era un insediamento cosiddetto "appenninico", vale a dire un insediamento che ospitava pastori seminomadi, ai quali appartenevano alcuni oggetti ritrovati in zona: vasi fatti a mano senza l'uso del tornio, bollitoi e fornelli. Il non lontano Foro Boario, in cui gli antichi pastori convenivano per pascolare il bestiame durante il periodo estivo e per rifornirsi di sale dal Tevere, divenne ben presto un vero e proprio mercato, prima ancora che nelle vicinanze venisse insediato un centro urbano. Proprio il Foro Boario è il sito più antico di Roma, frequentato antecedentemente la fondazione di Roma nel 753 a.C. La vicinanza dell'Isola Tiberina, infatti, già in periodo arcaico aveva favorito il formarsi di un'area destinata allo scambio delle merci, un vero e proprio mercato, posto sulla riva sinistra del Tevere, tra Campidoglio ed Aventino. Qui arrivarono anche mercanti Greci intorno ai primi anni dell'VIII secolo a.C.. Qui, sotto Servio Tullio (578-534 a.C.), si procedette ad una razionale sistemazione dell'ansa naturale del Tevere nota come Portus Tiberinus, uno scalo portuale sul fiume che sorgeva dove, attualmente, è presente il palazzo dell'Anagrafe.
Fu proprio Servio Tullio a volere la costruzione dei santuari di Fortuna e Mater Matuta, scavati nell'area sacra di Sant'Omobono. Oltre a questi importantissimi templi, il re fece costruire un altro edificio sacro dedicato a Portunus, la divinità del porto fluviale di Roma. Il tempio, tuttora visibile, ha pianta rettangolare e per molti anni è stato indicato erroneamente come Tempio della Fortuna Virile. Più a sud sorge, invece, il Tempio di Ercole Olivario, un tempo creduto di Vesta a causa dell'insolita forma circolare.
La divinità nazionale greca, Eracle, era molto presente in questa parte dell'antico centro di Roma, proprio a causa dello scalo fluviale dove affluivano merci e mercanti dalla Grecia. L'Ara Maxima di Ercole, il grande altare più volte restaurato nell'antichità e del tutto invisibile al giorno d'oggi, è stato individuato, infatti, in un grande basamento in tufo del II secolo a.C. visibile nella cripta della chiesa di Santa Maria in Cosmedin.

L'area sacra di Sant'Omobono

Tornando all'area sacra di Sant'Omobono, i primi lavori per liberare la zona dalla terra che vi si era accumulata nei secoli cominciarono nel 1937, quando si diede il via ad una serie di progetti che volevano la realizzazione di un nuovo edificio comunale proprio nei pressi. Gli sterri portarono alla scoperta di una grande platea in blocchi di tufo di 50 metri per lato. Sopra questa platea vi erano i resti di due templi di età repubblicana, quelli di Fortuna e Mater Matuta, appunto, come erano chiamati dalle fonti. Sondaggi effettuati sulla platea rivelarono una situazione complessa e ricca di materiali arcaici che furono recuperati malgrado la difficoltà di scavo dovuto alla notevole profondità alla quale giacevano i reperti e alla presenza di una falda acquifera sotterranea.

Lastra di rivestimento con sfilata di carri
dall'Area sacra di Sant'Omobono

Il livello più antico fu individuato dagli studiosi in base ai resti di una capanna che ricordava quelle di VIII secolo a.C. rinvenute sul Palatino e realizzata in legno ed argilla. Nel VII a.C. la zona dove sorgeva quest'abitazione venne destinata ad area di culto, con altari e una fossa sacrificale in cui sono state trovate numerose ossa animali. Dalla medesima fossa è emerso un frammento di vaso con iscrizione etrusca, forse la più antica ritrovata a Roma, che ricorda il nome di un aristocratico etrusco "araz silqetenas spurianas". Nel 580 a.C. furono costruiti, in quest'area, due templi, dei quali solo uno è stato trovato.

Placchetta d'oro a forma di felino dall'Area sacra
di Sant'Omobono (manifattura etrusca)

Sono state distinte, in base ai resti architettonici, due fasi dei templi che, secondo l'uso etrusco-italico, avevano un alto podio in tufo, la struttura in legno, le pareti in mattoni crudi e una sola cella. L'edificio più antico aveva, nel frontone, alcune placche in terracotta con felini, che sono state ritrovate, sullo stile del tempio di Artemide a Corfù, testimonianza dei frequenti rapporti con il mondo greco. Alla seconda fase costruttiva sono da attribuire due statue in terracotta di dimensioni di poco inferiori al vero. Si tratta di due figure delle quali una priva di testa e ornata della leonté, la pelle di leone annodata sul petto che è il carattere distintivo di Eracle. La seconda statua, collegata tramite un braccio alla prima, raffigura Athena, con l'elmo ionico sulla testa e nella mano destra una lancia. La tecnica delle due statue è raffinata per l'epoca e suggerisce l'influenza di maestranze greche con influssi fenici. Alcuni studiosi sostengono che le due statue facessero parte di un acroterio (il culmine del tetto di un tempio) mentre altri pensano che entrambe appartenessero ad un donario. Il professor Coarelli attribuisce ad Astarte la statua femminile. La dea era onorata anche a Pyrgi dove era assimilata all'etrusca Uni e chiamata, in una delle lamine auree qui ritrovate nel 1964, Unialastrus, risultato dell'unione dei nomi di Uni ed Astarte.

Statue di Eracle e Athena (o Artemide)

Sul finire del VI secolo a.C. il tempio venne distrutto e, dopo un secolo circa di abbandono, l'intera area venne rialzata artificialmente di quasi 4 metri per ricostruire i due templi arcaici, identici nelle dimensioni e perfettamente simmetrici, di Fortuna e Mater Matuta. L'orientamento, però, era leggermente differente rispetto ai primitivi edifici sacri. Quest'intervento è stato attribuito a Furio Camillo ed è successivo alla presa di Veio del 395 a.C..
Nel 213 a.C. un incendio devastò l'area distruggendo nuovamente i templi, che furono ricostruiti nell'anno successivo. L'ultima ricostruzione storica è datata all'epoca di Adriano (117-138 d.C.). Ad essa appartengono materiali edili in travertino pertinenti i templi e la pavimentazione antistante gli stessi. Sempre durante il periodo imperiale furono costruite, nelle zone adiacenti, delle insulae commerciali. Il Medioevo, purtroppo, non è sufficientemente documentato perché molti resti sono andati distrutti durante gli sventramenti degli anni Trenta.
Mater Matuta, alla quale era dedicato uno dei templi dell'Area sacra di Sant'Omobono, fu introdotta in tempi arcaici nel calendario romano a testimonianza della grande considerazione di cui godeva questa divinità. Si tratta di un'antichissima divinità dell'Aurora, alla quale è collegata l'idea della nascita e della luce. Il termine Matuta è collegato con matutinus, del mattino, ma anche a maturus, vale a dire la funzione materna e matronale che legava la divinità alla crescita dei feti e delle spighe. In tempi arcaici Mater Matuta era accompagnata dalla Mamma Mammosa detta anche Mammona. La Mamma Mammosa era la parte invisibile della dea.

Raffigurazione di Mater Matuta dal
Museo di Chianciano

Un'altra valenza di Mater Matuta era quella di protezione dei fanciulli (kourotrophos), che la identificava con un'altra divinità, la marina Ino-Leukothea. Questa, per sottrarre il figlio Palaimon-Melikertes alla follìa omicida del marito, si gettò in mare ed arrivò, dalla Grecia, sulle rive del Tevere. Qui madre e figlio furono accolti da Eracle e dalla ninfa Carmenta e vennero adorati con i nomi di, rispettivamente, Mater Matuta e Portunus. L'11 giugno, in onore di Mater Matuta, Roma celebrava i Matralia, dai quali erano escluse le donne in condizione servile, con la confezione del pane testuacium, una focaccia non lievitata cotta su lastre infuocate di terracotta dalle matrone. Queste ultime, sempre durante i Matralia, dovevano pregare per i figli delle sorelle per propiziare la fertilità delle donne sposate e consanguinee.
In un secondo tempo a Mater Matuta venne associata, come appare nell'Area sacra di Sant'Omobono, la dea Fortuna, una divinità nubile il cui culto, al contrario di quello di Mater Matuta, era aperto anche alla classe servile. L'associazione tra le due divinità affonda alle radici stesse dell'antico significato di Fortuna come protettrice della maternità e delle nozze. Solo in seguito la divinità perse queste caratteristiche per divenire la dea della buona sorte.

Area sacra di Sant'Omobono, la chiesa di Sant'Omobono

La chiesa di Sant'Omobono doveva essere, nei piani della risistemazione dell'area di epoca fascista, demolita. Essa occupa la cella di uno dei templi dell'area sacra, quello dedicato a Mater Matuta, avendo, però, un orientamento inverso rispetto a questa. Durante gli scavi del 1985, operati dalla Soprintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, sotto il pavimento della chiesa e sotto gli strati di riempimento del XIV-XV secolo, si sono trovate conferme al fatto che la chiesa attuale è collocata sulle murature perimetrali della cella del tempio, in opera quadrata di travertino. All'interno della cella templare è stato, poi, ritrovato un pavimento musivo di età adrianea in tessere bianche. Il pavimento è stato, in seguito, ricoperto di lastre di marmi pregiati di reimpiego (pavonazzetto, cipollino, marmo africano, granito e giallo antico). Probabilmente qui venne installato un primo culto cristiano già nel VI secolo a.C., poiché sono ritornate alla luce le tracce di una schola cantorum proprio sul cocciopesto di preparazione del mosaico adrianeo.
L'edificio religioso che precedette l'attuale chiesa di Sant'Omobono è menzionato per la prima volta in un documento del 1470 con il nome di S. Salvatore in Portico. La chiesa venne completamente ricostruita nel 1472 al di sopra dei resti del tempio di Mater Matuta e solo nel 1575 venne dedicata a Sant'Omobono, protettore dei sarti. L'area sacra, dunque, tornò ad essere quello che era sempre stata, un'area dedicata al culto, una destinazione d'uso rimasta immutata in tanti secoli della storia dell'Urbe.

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