Il ragionamento dipende infatti in maniera essenziale dal concetto di “defeater”, che indica – nel contesto dell’epistemologia – una convinzione che, se provata vera, implicherebbe direttamente o indirettamente la falsità di un’altra convinzione. Per i nostri scopi, tradurremo “defeater” con l’espressione “un confutante”. Ecco un esempio: abbiamo appena comprato un termometro T – che naturalmente riteniamo affidabile – quando veniamo a sapere che esso è stato prodotto da una certa fabbrica F, che appartiene a un matto il cui unico obiettivo nella vita è di boicottare la società industriale. A tale scopo, costui introduce apposta molti strumenti difettosi nella linea di produzione. Pertanto, dato che noi non abbiamo alcun modo di conoscere il rapporto tra il numero dei termometri buoni e quello dei termometri difettosi, la logica ci suggerisce di buttare a mare tutte le temperature fin qui rilevate da T, perché non abbiamo più la ragionevole certezza che esse siano attendibili! In definitiva, l’affermazione “La probabilità P che T sia affidabile, sapendo che T è stato fabbricato da F, è molto bassa o indeterminata” costituisce un confutante della nostra convinzione iniziale che T sia un valido strumento di misura.
Passiamo adesso a esaminare l’argomento evolutivo di Plantinga. Assumeremo che le nostre facoltà cognitive (memoria, percezione, pensiero razionale e così via) si possono ritenere affidabili se le loro conseguenze risultano in maggioranza vere. Come si sa, secondo le attuali teorie evolutive tutte le innumerevoli caratteristiche delle attuali forme di vita – comprese dunque le nostre capacità cognitive – sarebbero comparse attraverso meccanismi quali la selezione naturale e la deriva genetica, che agiscono sulle fonti di variazione (come le mutazioni genetiche casuali). La selezione naturale elimina la maggior parte di queste mutazioni, ma qualcuna mostra di avere valore di sopravvivenza e aumenta l’adattamento. Queste ultime, perciò, si diffondono nella popolazione e persistono nel tempo. È bene sottolineare che, secondo Plantinga, questo schema evolutivo è perfettamente compatibile con l’idea teista che Dio ci abbia creati a Sua immagine e somiglianza, e in particolare dotati della capacità di acquisire conoscenza. La teoria dell’evoluzione, in effetti, prevede soltanto che le mutazioni genetiche siano casuali, intendendo con ciò che esse non devono essere implicite nella struttura dell’organismo, che di norma non devono giocare un ruolo positivo nella sua capacità di sopravvivere, ed eventualmente che non devono essere prevedibili; ma essa non può escludere la possibilità che tali mutazioni siano in realtà causate, orchestrate e predisposte da Dio. Come è facile capire, questa forma di evoluzione teista è totalmente equivalente a quella ateista, alla luce delle prove scientifiche oggi disponibili. Quindi, secondo Plantinga, la teoria dell’evoluzione in sé non è in contraddizione con l’idea che Dio ci abbia creati in modo tale che le nostre facoltà cognitive siano affidabili (perfettamente in grado, cioè, di “adeguare l’intelletto alla realtà”).
Ma se il naturalismo è vero, Dio non esiste, e pertanto non vi è nessuno che sovrintende al nostro percorso evolutivo. Il che ci porta dritti alla questione cruciale, quella intorno a cui ruota l’EAAN: quanto è probabile che le nostre capacità cognitive siano affidabili, data la loro origine evolutiva e supponendo vero il naturalismo? Ebbene, la risposta più logica per chi sostiene il naturalismo dovrebbe essere “molto poco”, come comprese lo stesso Darwin: «Mi sorge sempre l’orrido dubbio se le convinzioni della mente umana, che si è sviluppata dalla mente degli animali inferiori, siano di qualche valore o in qualche modo attendibili. Chi riporrebbe la sua fiducia nelle convinzioni della mente di una scimmia – se pure esistono delle convinzioni in una tale mente?». Il “Dubbio di Darwin” è stato ribadito in tempi più recenti da Patricia Smith Churchland, che lo ha sottoscritto in pieno. In sintesi, esso nasce dalla una semplice considerazione: dal momento che la selezione naturale si limita a premiare i comportamenti che aumentano l’adattamento, non ha alcuna importanza se le convinzioni che stanno alla base di quei comportamenti sono vere o false. Basandoci solo sulla teoria dell’evoluzione, in pratica, non possiamo dire nulla di positivo sulla verità delle conclusioni a cui possono portare i nostri processi intellettivi. Se infatti accettiamo il riduzionismo materialista implicito nel naturalismo, ogni comportamento è causato esclusivamente da processi cerebrali deterministici, quindi dalla “neurologia sottostante” (per così dire). È questa neurologia ad essere adattiva, e per il naturalismo essa è l’unica fonte delle convinzioni: dal punto di vista dell’adattamento, però, non è necessario che queste siano vere, purché consentano la sopravvivenza dell’individuo.
Un esempio divertente è fornito da Plantinga. Immaginiamo di osservare un nostro ipotetico antenato pre‑umano, Paul. Si avvicina una tigre; il comportamento più appropriato è naturalmente la fuga. Ora, Paul pensa che la tigre sia un enorme gattone amichevole, e decide di giocarci; è convinto però che il modo migliore per farlo sia di farsi inseguire senza lasciarsi mai acchiappare. Quanto alla sopravvivenza, Paul è a posto; quanto all’aderenza con la realtà, lo è indubbiamente di meno! Di fatto, per ogni comportamento che produce adattamento sono possibili diversi contenuti mentali – corrispondenti a convinzioni diverse, alcune delle quali vere e alcune false – che, nell’ottica del materialismo, non sono in relazione causale con esso. Perciò, data la selezione darwiniana e il naturalismo, possiamo conservativamente stimare pari a circa il 50% la probabilità che fosse vera ogni data convinzione che si andava via via fissando, nel corso dell’evoluzione, nella struttura neurale della nostra specie. In effetti, dando per scontato il naturalismo, è logico concludere che l’affidabilità complessiva dei nostri processi mentali deve essere effettivamente molto scarsa. Del resto, non avendo informazioni certe su come siano andate realmente le cose, l’unica alternativa scientificamente valida che ci rimane è la sospensione del giudizio: in altre parole, dovremmo ammettere di non poter dire niente di sicuro sull’affidabilità delle nostre facoltà cognitive.
A questo punto, possiamo esprimere in forma analitica le considerazioni fin qui esposte. Indichiamo con R la proposizione “Le nostre facoltà cognitive sono affidabili”, con N “Il naturalismo è vero”, e con E “Ci siamo evoluti in modo neo‑darwiniano” (non è difficile individuare nella congiunzione N&E quella forma di scientismo che pretende di spiegare ogni aspetto della vita umana attraverso il paradigma di caso e necessità). Indichiamo infine con P(R/N&E) la probabilità che le nostre facoltà cognitive siano affidabili, dati il naturalismo e il neo‑darwinismo, e con D la proposizione “P(R/N&E) è molto piccola o indeterminata” (che, per quanto detto sopra, consegue da N&E). Ebbene, è evidente che se si accetta N&E e si comprende che D è vera, quest’ultima risulta essere un confutante di R: in altri termini, siamo costretti a dubitare di tutte le nostre convinzioni – inclusa ovviamente N&E. In quanto confutante di R, perciò, D lo è anche della stessa N&E! Insomma, lo scientismo – nella variante N&E – risulta essere una convinzione auto‑confutante, vale a dire una concezione che non è possibile sostenere razionalmente. In sostanza, se si accetta il naturalismo non ha senso credere nell’evoluzionismo darwiniano, e viceversa. Se d’altra parte fosse vero il teismo (la negazione del naturalismo), Dio potrebbe aver predisposto e diretto l’evoluzione in maniera tale che dovessero comparire sulla Terra, a tempo debito, creature dotate di affidabili facoltà cognitive; in questo caso, non si rileverebbe alcuna contraddizione logica con le osservazioni scientifiche.
Concludendo, dall’analisi di Plantinga si deduce che naturalismo e neo‑darwinismo sono in conflitto, poiché non è ragionevolmente possibile accettare entrambi. Dato dunque che il neo‑darwinismo è una parte di fondamentale importanza della scienza moderna, dovremmo prendere atto che si comincia a delineare un profondo conflitto tra naturalismo e scienza… mentre continua a non essercene alcuno tra fede e scienza.