L’armata Brancaleone / Brancaleone alle crociate – Mario Monicelli, 1965 / 1970

Creato il 03 settembre 2014 da Paolo_ottomano @cinemastino

L’armata Brancaleone e Brancaleone alle crociate (Mario Monicelli, rispettiva­mente 1965 e 1970) possono essere considerati insieme: sono infatti due ca­pitoli indipendenti di una stessa saga, quella del cavaliere scalcinato Brancaleone da Norcia (Vittorio Gassman) e del suo seguito altrettanto im­probabile. Ciò che ha reso quest’accoppiata memorabile è imputabile a più cause: la scrittura dei personaggi e del loro lessico ancor prima che quella della storia. L’archetipo narrativo è infatti quello dei Soliti ignoti, ma anche quello del Don Chisciotte, avventure da cui ormai si sa cosa aspettarsi (a grandi linee). Il piacere della risata e della suspense deriva dal modo in cui i personaggi com­bineranno l’impresa: l’epico duello con gli sgherri Teofilatto (Gian Maria Vo­lonté) e Thorz (Paolo Villaggio) che si trasforma subito in rissa da strada; il ronzino che non risponde mai agli ordini del padrone ma è bravissimo a tro­vare le vie di fuga; trappole ingegnose che si rivoltano contro i loro autori. E la morte di un personaggio della compagnia, Abacuc (Carlo Pisacane), inevita­bile per lasciare un tocco d’amarezza, seppure inferiore alla media delle com­medie all’italiana per la natura più farsesca del film.

La lingua dei personaggi, invece, è l’aspetto che per forza di cose arriva per primo allo spettatore: un impasto di latino maccheronico, volgare e qualche de­riva dialettale, soprattutto romanesca, che spesso assume la forma di una poe­sia o della strofa di una canzone, anche in rima. Basti citare come esempio una sequenza di Brancaleone alle crociate: per difendere la strega (Stefania San­drelli) dalle accuse del re Boemondo (Adolfo Celi), Brancaleone imbastisce un’arringa tutta in versi, e da questo momento in poi la maggior parte dei dia­loghi sarà espressa allo stesso modo. Ma ci sono anche dei segni caratteristici della parlata all’italiana: l’imprecazione, che si trasforma da «l’anima de li mor­tacci tua» a «l’anima de li tuoi miliori», tradendo una chiara origine medievale. L’immaginario narrativo e iconografico dei film influenza tanto anche i co­stumi e il trucco, aspetto quest’ultimo che rende il personaggio di Gassman ancora più surreale e dimostra l’attenzione degli sceneggiatori nella selezione delle fonti cui si sono ispirati. La parrucca e il cipiglio ricordano infatti quelli di un eroe giapponese, resi in caricatura e necessari per accentuare il divario tra l’ego di Brancaleone e le sue reali capacità. Altra dimostrazione di cono­scenza della letteratura ispiratrice è data da una citazione presente in Brancaleone alle crociate: «Gerusalem sovra tre colli è posta»,[1] parole che pronun­cia Brancaleone mentre il gruppo si avvicina alla città ; parole che apparten­gono alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Anche se non si coglie la citazione, questa è dissimulata così bene nel racconto da appartenere anche a questa storia e da rendere il film leggibile a più livelli, dissacrando poi la fonte.

La sequenza finale è un esempio di un’altra caratteristica comune a molte commedie all’italiana: l’epilogo romanzesco, che chiude una vicenda ma allo stesso tempo pone delle basi potenziali per un’altra avventura. Brancaleone ha un conto in sospeso con la Morte, che all’inizio della sua avventura gli aveva promesso di portarlo con sé. In uno scenario che evoca la partita a scacchi de Il settimo sigillo, la strega innamorata decide di immolarsi per Brancaleone. La Morte è soddisfatta perché «Li conti tornano», la strega si trasforma in gazza e vaga per il deserto sulle spalle di Brancaleone, contento di essere sopravvis­suto e con la malinconia di aver perso, ancora una volta, la donna che lo amava.

[1]«Gerusalem sovra due colli è posta» è il verso originale della Gerusalemme Liberata, canto III, stanza LV


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