Capote in una posa sprezzante del pericolo, mentre aspetta Guglielmo Tell
Partiamo dalla seguente considerazione: Truman Capote è uno scrittore spietato, spietatissimo che se ne frega del prossimo che poi sarebbe il lettore che lo legge. Capote scrive come se avesse la lama di un coltello in mezzo ai denti senza ferirsi mai, al contrario del lettore che se non sta attento rischia di pungersi sin dalla prima pagina prefazione compresa.
Il lettore rischia davvero di farsi male perché se proprio non in mezzo ai denti, sono certo che per pigiare i tasti della sua macchina da scrivere Truman Capote abbia usato proprio la punta di un coltello: una partitura dalla lama rigorosa e infallibile che non sbaglia un solo rigo neanche battendo i tasti a velocità bendata.
I racconti contenuti in “Musica per camaleonti” sono piccoli manufatti cesellati a mano e col coltello. Manufatti come si dice nel gergo dei manufatti “di rara fattura”, intagliati a regola d’arte qualunque sia l’arte e lo stile che Capote decida di seguire – e in questo libro di stili ne ha seguiti tanti – in un crescendo di tecnica e mestiere che dall’inizio del romanzo fino a pagina 81 della mia edizione Garzanti, vi posso assicurare fin da ora – sono circa le 22 – raggiungono il loro massimo apice in quello che lui stesso definisce un breve romanzo verità, un romanzo dentro al romanzo che fa venire i brividi a cominciare già dal titolo: “Bare intagliate a mano”.
Mentre scrivo sono seduto nel silenzio della mia stanza tutta per me, che in realtà tutta per me è proprio tutta la casa, ma io preferisco stare solo in questa stanza perché è piccola abbastanza da riuscire a farmi mantenere vigile, con gli occhi anche dietro la testa e le orecchie attaccate alla schiena, in quanto sussulto ad ogni singolo rumore che sento mentre leggo, che io spero sempre sia il vicino di sotto, perché se per caso non è lui ma è l’assassino uscito dal libro di Capote allora vuol dire che esco subito anche io e mi vengo a sdraiare nel letto insieme a voi.
Più degli altri esemplari racconti contenuti in Musica per camaleonti, questo breve romanzo verità di cui non riscrivo il titolo per motivi di salvaguardia personale vi farà sobbalzare dalla sedia anche se siete già a letto che mi state aspettando.
Si descrive una serie di omicidi nei pressi di un imprecisato stato dell’ovest americano, in cui prima di uccidere l’assassino - di cui non posso fare il nome – si premura di spedire ad ogni vittima una foto scattata da lui stesso recapitata per posta dentro un particolare contenitore: una piccola bara di legno intagliata a mano.
La copertina della mia edizione Garzanti
E così ho ripetuto il titolo. Non lo farò più. Non lo farò più però continuerò il romanzo, perché come tutti i romanzi scritti da gente che a ragione veduta nel senso che si vede che sono bravi scrittori sono anche dei bravi romanzi, poiché hanno la capacità di essere divorati a prescindere dai rumori che si sentono intorno, dalla tremarella, e dal posto in cui si leggono che a pensarci bene l’unico posto sicuro in cui si potrebbe leggere questo libro sarebbe una cassaforte chiusa da cui uscire solo una volta terminato il libro, per poi lasciarcelo dentro, perché di libri così in circolazione non ce ne sono tanti e allora vanno preservati, e poi si torna a vedere se la porta è chiusa bene e poi si torna a letto a leggere da soli.
Ma poi sarà davvero chiusa bene la mia porta? E questi rumori che continuo a sentire? E voi dove siete, siete andati a comprare il libro? Dopo passate di qua?
Chissà se Truman Capote si faceva paura da solo mentre scriveva. Io credo di sì. Per questo si faceva sempre ritrarre incollato al divano.
Lo so che questa recensione è incompleta perchè non ho neanche finito di leggere il libro ma primo: voi lo sapete quante recensioni vengono scritte senza neanche leggere i libri? E secondo io avevo fretta di scrivere questa recensione prima che fosse troppo tardi tipo le tre o le quattro di notte, quando se non ti addormenti subito i rumori sembra proprio che ti entrino nel letto.