Siamo convinti da sempre che il mondo ci appartenga e che la Natura debba essere piegata e modificata per le nostre esigenze e i nostri piaceri. Non farlo, sarebbe una follia; significherebbe, secondo alcuni, soccombere alle leggi del mondo naturale, trasformandoci da aguzzini in prede.
Così ci siamo trasformati in carcerieri nevrotici, sempre intenti a contenere e arginare la forza progressiva della vita. Ciò a cui più aneliamo è un mondo asettico. Detestiamo l'irregolarità, il guizzo dell'imprevisto; conduciamo crociate contro lo sporco, contro tutte quelle forme naturali (vegetali e animali) che tentano di "invadere" i nostri spazi perfetti.
Ma sono davvero loro, gli animali selvatici, gli invasori? Non è piuttosto la razza umana ad aver progressivamente colonizzato tutti gli spazi naturali, requisendoli per l'allargamento delle proprie malsane metropoli e città o per sfruttarli nell'agricoltura intensiva?
L'arroganza umana è unica in natura: siamo infatti l'unica specie che, anziché adattarsi all'ambiente ospitante, preferisca adattarlo alle proprie esigenze, producendo in questo modo danni incommensurabili.
Questo atteggiamento, unito allo specismo che ci contraddistingue, è la causa principale dei conflitti fra uomo e animale. Abituati come siamo a considerare fauna, flora e ambiente come oggetti su cui estendere la nostra sovranità, non solo non riusciamo a gestire i danni della nostra invadenza sul piano ecologico, ma nella maggior parte dei casi non riusciamo neppure a gestirne le conseguenze.
La "radiazione adattativa" è un fenomeno che si verifica quando un'unica specie tende a occupare tutto lo spazio in cui si trova a vivere, a scapito degli altri animali; ed è proprio ciò che stiamo facendo noi esseri umani, facendo terra bruciata intorno a noi e illudendoci di ridurre il nostro "impatto ambientale" solo perché costruiamo qualche casa ecologica in più o perché installiamo qualche pannello solare.
Ciò che deve essere modificato, al contrario, è la nostra disposizione mentale nei confronti dell'ordine naturale e degli animali in primis.
Dobbiamo comprendere che non sono loro a invadere i nostri spazi, ma che siamo stati noi a comportarci come colonizzatori impazziti.
Prendiamo come esempio il caso dei cinghiali e delle nutrie, per i quali spesso si prevedono piani di abbattimento selvaggi, per imperdire che devastino le nostre colture e i nostri argini fluviali (sic!).
E' vero che questi animali hanno raggiunto popolazioni ragguardevoli nelle nostre campagne; ma forse ciò non sarebbe avvenuto se:
a) i cacciatori non avessero immesso in natura (per il loro crudele divertimento) un numero imprecisato di esemplari di cinghiale, senza un vero e reale controllo da parte delle autorità preposte;
b) non fossero stati organizzati in Italia, fin dal 1921 (il primo fu aperto in provincia di Alessandria), degli allevanti di nutrie per produrre le famose - all'epoca - pellicce di "castorino".
(Sulle nutrie, in particolare, è stata creata di recente dagli organi di stampa e dalle amministrazioni comunali e provinciali un'inutile quanto moralmente riprovevole campagna allarmistica: a Tortona un esemplare è stato addirittura ucciso a badilate perché ritenuto pericoloso per l'incolumità dei bambini presenti. Avete mai visto un roditore assetato di sangue e di carne umana? La LAV ha rivolto in quell'occasione un accorato appello alle autorità competenti, chiedendo che si mettesse fine a questa assurda "caccia alle streghe". Per conoscere la verità sulle nutrie, si veda l'esaustivo blog La Nutria - Myocastor coypus)
Che ci piaccia o no, che lo vogliamo riconoscere o meno, la causa di determinati "squilibri" siamo noi esseri umani.
Una volpe alla Fondazione Gabriele, in Germania.
Tuttavia un cambiamento è possibile.
L'agricolatura "veganic" si propone di dare all'agricoltura una particolare connotazione etica, rispettando non solo le esigenze di chi coltiva la terra per ricavarne sostentamento, ma anche di tutti gli altri animali presenti sul territorio: lepri, caprioli, volpi (e, perché no?, anche nutrie e cinghiali) trovano così modo di coesistere con l'uomo grazie all'inserimento, negli spazi coltivati di biotopi realizzati appositamente per loro.
Che cos'è un biotopo?
Si tratta dell'«unità più piccola nell'ecologia territoriale. [...] Nel nostro mondo civilizzato, questi spazi vitali per piante e animali si sono ridotti sempre più sin quasi a scomparire, a causa delle opere di bonifica, dell'industrializzazione e dell'agricoltura intensiva» (dalla brochure illustrativa della Fondazione Gabriele).
Nell'agricoltura "veganic", siepi, filari di alberi, specchi d'acqua, fiori intorno ai campi e biotopi di pietre si alternano alle "aree di successione ecologica" (aree che non vengono coltivate e lasciate "abbandonate", in modo che possano diffondersi le specie vegetali più adatte a quel tipo di terreno e di clima, formando così il cosiddetto "prebosco") e alle zone coltivate vere e proprie.
In questo modo anche le specie a rischio di estinzione riescono a trovare una nuova possibilità di sopravvivenza. La Fondazione Gabriele, che da anni si occupa di agricoltura "veganic", ha visto ritornare sul proprio territorio - proprio grazie al sistema dei biotopi - molte specie di uccelli rari, come il nibbio reale, il picchio nero e il picchio medio, l'oriolo e il falconcello.
Un cambiamento è dunque possibile, a patto di rinunciare ai consumi frenetici e industriali per tornare sulla via della semplicità, della moderazione e della ragionevolezza...
Approfondimenti:
• http://www.veganorganic.net/
• Fondazione Gabriele
• GoVeganic