Nell’articolo di Pretini emerge quanto spesso i testi di chi scrive per lavoro risultino oscuri e poco chiari. In cima alla lista: sentenze, leggi, circolari ministeriali, testi che dovrebbero spiegare e parlare al cittadino. “Occuparsi del linguaggio pubblico e della sua qualità non è un lusso da intellettuali o una questione accademica. E’ un dovere cruciale dell’etica civile” scrive Carofiglio. Ma cosa spinge i burocrati e i giuristi a esprimersi in una lingua così oscura? Secondo Carofiglio le ragioni sono tre: pigrizia del gergo, narcisismo e esercizio del potere.
Nelle aule di tribunale, ad esempio, abbondano arcaismi, ridondanze, frasi subordinate, formule misteriose e violazioni sistematiche della grammatica e della sintassi. Ma tutti là dentro parlano così e questa è la pigrizia. Un lessico inutilmente ricercato ed esibito trovano ragione invece nel narcisismo e nella vanità. Ma è l’esercizio del potere la prima e più grave causa del linguaggio oscuro e per spiegarlo viene citato Michele Ainis in La legge oscura “da una parte chi sta in alto ha l’interesse a non farsi capire in modo da non permettere a nessuno di mettere in discussione la sua posizione. E dall’altra una legge scritta in modo nebuloso avrà sempre bisogno di un “saggio” che la interpreta: la giustizia non più nelle regole, ma nel parere di chi le legge”.
Dunque in alcuni casi si tratta di uno stile volutamente poco chiaro, in altri può trattarsi semplicemente di una scarsa capacità di esprimersi con chiarezza ed efficacia.
E Diego Petrini conclude così: “Quello di Carofiglio, anche usando l’ironia, è un piccolo manuale, un breviario come scritto in copertina. Da una parte cerca di dare consigli pratici su come scrivere in modo chiaro (e forse basta Orwell che li sintetizzava in: Potrei dirlo più brevemente? Ho scritto qualcosa di bruttezza non necessaria?). Dall’altra parte fornisce suggerimenti per una lettura consapevole: perché chi ha scritto, ha scritto in questo modo? Come si sarebbe potuto scrivere in modo efficace e onesto?" Insomma a volta bastano alcune semplici regole di buonsenso, anche nella scrittura e nel modo in cui esprimiamo.
Alessia Gervasi