L’arte “in marcia” di Shepard Fairey, in arte Obey

Creato il 13 febbraio 2012 da Illcox @illcox

Se pensate che Shepard Fairey sia un graffitaro quasiasi, vi sbagliate di grosso. Sabina De Gregori, in Shepard Fairey in arte Obey. La vita e le opere del re della poster art (Castelvecchi) ci conduce alla scoperta della vita e delle opere di uno dei maggiori artisti della poster art nonché di uno dei più famosi grafici al mondo, con clienti come Visa, Apple, Led Zeppelin e… addirittura Barack Obama. Tutto comincia nel 1989 a Providence, nel Rhode Island, quando un giovane studente della Rhode Island School of Design crea un adesivo raffigurante André The Giant (lottatore di Wrestling famoso per la sua enorme stazza) con cui tappezza le strade della sua città. Comincia come un gioco, Obey non sa ancora che con quell’adesivo sarebbe partita la campagna che avrebbe ispirato la maggior parte dei suoi lavori degli anni a venire.

Tutte le sue opere trovano spazio tanto nelle gallerie d’arte (su tela o tavole, pezzi unici o in tiratura limitata) quanto in strada con manifesti, adesivi e poster, rispondendo allo spirito di guerrilla della campagna di The Giant che già in nuce conteneva il nucleo del messaggio principale dell’arte di Obey: colpire tramite il perturbamento del tessuto urbano, obbligando il passante (assuefatto ai messaggi pubblicitari che quotidianamente lo bombardano) a chiedersi “cosa sto guardando? Cosa vogliono farmi comprare?”.

Tanti i riferimenti che attraversano l’opera di Fairey: dal costruttivismo russo ai lavori grafici di Barbara Kruger, dai film di Carpenter agli scritti di Marshall Mc Lhuan, dai test di Rorschach alla filosofia heideggeriana; tutto converge in un gesto grafico capace di unire azione politica e culturale. In Obey il mezzo è davvero il messaggio: un esercizio di fenomenologia heideggeriana, secondo quanto dichiarato dall’artista nel suo Manifesto, che “consente all’essere umano gettato nel mondo di vedere ciò che è giusto davanti ai propri occhi, senza essere oscurato da un’osservazione astratta, cosicché le cose si manifestino”.

È un’arte “in marcia” quella di Obey, avvezza alla retorica del populismo e della rivoluzione; ma è anche un’arte che ha conosciuto Andy Wharol e Jasper Johns, che ha attraversato la caduta del mito e che non è più disposta a credere alla grande ideologia. Ecco allora che il populismo si fa cultura pop e la rivoluzione diventa propulsione: non c’è più da un nemico da abbattere, ma da ridare fiducia a una società che ha rinunciato all’azione. Appare naturale allora il sostegno tributato dall’artista a Barack Obama durante la campagna elettorale che lo ha visto diventare il simbolo del cambiamento per migliaia di persone, l’incarnazione della speranza di un nuovo corso che nell’arte di Obey ha trovato uno dei suoi migliori alleati. Un libro da non perdere.

Questo universo d’impegno, leggerezza e colore verrà proposto a Roma dal 29 gennaio al 23 febbraio allaMondo Bizzarro Gallery – piattaforma per le arti ipercontemporanee del XXI secolo. La prima, importante mostra in Italia dedicata all’artista statunitense


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