Ti saluto citando Ottone Rosai da Giovanni Faccenda, Rosai. L’assillo della verità (Edizioni Masso delle Fate). Non ho forza per altro.
«L’artista di tutti i tempi è stato e sarà sempre una creatura personificante la tragedia. Farà magari eccezione sugli altri, ma a tutto suo discapito, a tutto suo sconforto.Egli, quando è tale, comincia col capire più degli altri e, di conseguenza, senti più degli altri le responsabilità di cui il tempo l’ha caricato. Sempre scontento di sé e di quel che ha fatto, giungerà a morte col rimorso nel cuore e nel cervello di non aver saputo dare quanto, secondo quel suo ultimo istante intensamente riflessivo, sente che avrebbe potuto. E così anche l’ultima stilla di vita sarà per lui come un intero amarissimo mare da trangugiare» (p. 66).
E ancora…
«Sorgerà un artista come una brutta giornata. Una di quelle giornate d’inverno tutte nere, fredde, pungenti, dalla pioggia appuntita e frenetica che ti sbatte in faccia e sul corpo a cenciate quasi fossero lanci a manciate di pruni.Di dolore avrà fatta la vita, continuo, infinito, per non poter giungere a dare con la sua opera la pace né a sé né agli altri. Non conoscerà compromessi: tra i suoi atti e la sua arte tutto sarà coerenza. La croce addossatasi la porterà non come condanna, ma quale simbolo di fede. Unico tormento: l’arte; sola preoccupazione: donare.Questi e non altri i principii di un vero artista e di ogni essere che sia a rappresentare tra gli uomini un loro culmine di bellezza» (p. 68).