L’ascesa e il declino del dollaro dietro la crisi (1/2)

Creato il 07 dicembre 2011 da Elvio Ciccardini @articolando

Le società di rating, la crisi politica europea, la crisi economico e finanziaria mondiale sono tutti elementi che stanno contribuendo a puntare i riflettori su una moneta: l’euro. In realtà è il sistema monetario mondiale che sta subendo un lento e progressivo sgretolamento, che ha il colore del dollaro che è moneta di un impero mondiale basato sul debito…

Pochi sanno che un giovane funzionario del Tesoro britannico, nel 1919, si dimise dalla delegazione finanziaria al tavolo della pace per protesta contro le riparazioni imposte alla Germania. Un professore universitario, nel 1936,  introdusse nella scienza economica concetti quali: stato delle aspettative, trappole della liquidità e altre variabili capaci di spiegare empiricamente il fenomeno della disoccupazione di lunga data. Un luminare, nel 1944, tentò invano di evitare il predominio del dollaro, ma non ci riuscì a Bretton Woods.

Chi erano questi tre signori? In realtà sono la stessa persona: Keynes, che teorizzava un sistema capace di utilizzare la creazione di base monetaria internazionale commisurata allo sviluppo non inflazionistico del mondo.

Teorie a parte, la supremazia del dollaro inizia ad affermarsi nel 1917. Poco dopo che un italiano, mai apparso negli annali dei “famosi”, Trucco, aveva ipotizzato e tentato di attuare un nuovo modello, l’Hallesint, che prevedeva una moneta unica mondiale e un governo controllato dell’economia.

La storia vuole che il dollaro si impose attraverso la Grande Guerra. La strategia statunitense fu semplice. Impose ai paesi alleati di finanziare le spese attraverso forme intergovernative. Pertanto si rinunciò al ricordo ai  prestiti bancari privati e degli aiuti solidali fra alleati. A conflitto finito e conti dei morti fatti, rimaneva il problema delle riparazioni imposte alla Germania.

A Versailles, Keynes affermò che i tedeschi non sarebbero stati in grado di pagare le riparazioni alla Gran Bretagna ed alla Francia, se non vendendo merci e servizi. I paesi vincitori, però, non volevano cedere quote di mercato nazionale a merci e servizi tedeschi. Tuttavia, senza riscuotere le riparazioni tedesche, non avrebbero potuto onorare i loro debiti di guerra agli Stati Uniti. A meno che non ci fossero riusciti attraverso le esportazioni.

Sempre a Versailles, Keynes affermò che le riparazioni di guerra imposte ai tedeschi avrebbero scatenato un secondo conflitto mondiale. Fu così che si dimise e scrisse: The Economic Consequences of the Peace.

Nonostante in molti ci sperassero, nel 1933, Roosevelt negò ogni possibile moratoria dei debiti. Erano gli anni del New Deal che furono accompagnati da misure protezionistiche. Il cane stava iniziando il primo giro per mordersi la coda. Gli USA rivendicavano la restituzioni dei prestiti ai paesi vincitori. Questi ultimi, persa la speranza di riuscirvi attraverso le esportazioni, iniziarono a rivolgersi perentoriamente alla Germania per riscuotere le riparazioni. La Germania non potendo contare sulle esportazioni non riusciva a soddisfare le richieste di pagamento. Una cosa è certa. La propaganda di Hitler seminò, attecchì e crebbe su questo terreno.

L’applicazione di politiche simili al New Deal anche in Europa avrebbe condotto dritto alla guerra. Se gli USA avevano un ampio mercato interno e la Gran Bretagna un ampio mercato coloniale, ciò non valeva per gli altri Stati. I federalisti inglesi videro la contraddizione, la denunciarono e propugnarono un “Nuovo Ordine Internazionale”.

Nella seconda guerra mondiale la situazione peggiorò. Gli Stati Uniti rifinanziarono le spese militari degli Alleati e il peso del debito divenne insostenibile. Fu il tracollo del predominio inglese. La Gran Bretagna dovette rinunciare alla preferenza imperiale e rafforzare il dominio statunitense.

Keynes propose una moneta internazionale denominata bancor. All’epoca era capo della delegazione britannica e presidente della commissione della Banca Mondiale, durante le negoziazioni che diedero vita al sistema di Bretton Woods. Non prese piede.

L’Accordo di Bretton Woods, con l’adozione del piano Whiten suggellò il successo del disegno americano di dominio unilaterale sul mondo occidentale. L’affermazione del dollaro come moneta internazionale, il diritto di veto americano al Fondo Monetario Internazionale, l’utilizzo della Banca mondiale per promuovere una divisione internazionale del lavoro favorevole alle esportazioni americane, il doppio standard che divenne la regola del GATT in materia commerciale, formarono l’ossatura del sistema economico corrispondente all’egemonia americana.

Nel 1956, gli Stati Uniti ottennero la rinuncia definitiva a qualsiasi ambizione coloniale europea, dopo la crisi di Suez. Nei fatti pretesero che il FMI (Fondo Monetario Internazionale) subordinasse il sostegno alla sterlina al ritiro delle truppe anglo-francesi dal Canale.

Il sistema monetario di Bretton Woods aveva riorganizzato il “mondo libero” sul dollaro come l’Impero inglese lo era stato sulla sterlina convertibile. Gli Stati Uniti rappresentavano oltre la metà del prodotto mondiale, detenevano quasi la totalità delle riserve auree ed erano i soli in grado di finanziare la ricostruzione e la ripresa economica post-bellica.

Questo post è stato liberamente tratto da Finanza in chiaro


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