La casa di campagna del nonno di Lenin sorgeva, non lontano da Kazan – capitale della Repubblica autonoma dei Tartari - , un po’ in cima a una collinetta ai piedi della quale scorre, portando a spasso le sue anatre, un fiumiciattolo colcosiano. Una parte del soggiorno dava sul giardino, con tre grandi finestre. I ragazzi, tra i quali Volodja Ul’janov, il futuro Lenin, entravano ed uscivano di casa per le finestre, anziché per la porta. Narra Gianni Rodari(che in quel posto bevve del buon vino con i suoi amici tartari) che “il saggio dottor Blank(padre della madre di Lenin), ben guardandosi dal proibire quell’innocente spasso, fece mettere sotto le finestre delle robuste panchette, perché i ragazzi se ne potessero servire nei loro andirivieni senza rischiare di rompersi l’osso del collo.” La casa di mio nonno(il padre di mia madre)a S.Arcangelo, invece, era fatta in modo che entravi a pianterreno e ti trovavi dall’altro lato il balcone all’ottavo piano sulla piazza sottostante: narrava questo mio nonno, per via di madre, pare, un ebreo di quelli un po’ inquietanti, piuttosto piccolo, così lo ricordo, con un aspetto tra il fantasmatico e l’evanescente, che una volta, quando ancora avevano l’asino [che non so se era lo stesso da cui bambino caddi sul terreno morbido e sabbioso in quel di S.Maria Orsoleo, un bel posto dove, a quel che si dice, sembra che sia sorto un non so che cosa per bambini profughi, forse in virtù di quella mia caduta], che, entrato dalla porta, l’animale quadrupede prese ad uscire dal balcone, sprovvisto di ringhiera, tanto che il saggio nonno(padre della madre del futuro poeta), ben guardandosi dal proibirgli quell’innocente spasso, fece mettere sulla piazza dei materassi perché l’asino( e in seguito anche una mula) se ne potesse servire nei suoi andirivieni e voli senza rischiare di rompersi l’osso sacro.
La casa di campagna del nonno di Lenin sorgeva, non lontano da Kazan – capitale della Repubblica autonoma dei Tartari - , un po’ in cima a una collinetta ai piedi della quale scorre, portando a spasso le sue anatre, un fiumiciattolo colcosiano. Una parte del soggiorno dava sul giardino, con tre grandi finestre. I ragazzi, tra i quali Volodja Ul’janov, il futuro Lenin, entravano ed uscivano di casa per le finestre, anziché per la porta. Narra Gianni Rodari(che in quel posto bevve del buon vino con i suoi amici tartari) che “il saggio dottor Blank(padre della madre di Lenin), ben guardandosi dal proibire quell’innocente spasso, fece mettere sotto le finestre delle robuste panchette, perché i ragazzi se ne potessero servire nei loro andirivieni senza rischiare di rompersi l’osso del collo.” La casa di mio nonno(il padre di mia madre)a S.Arcangelo, invece, era fatta in modo che entravi a pianterreno e ti trovavi dall’altro lato il balcone all’ottavo piano sulla piazza sottostante: narrava questo mio nonno, per via di madre, pare, un ebreo di quelli un po’ inquietanti, piuttosto piccolo, così lo ricordo, con un aspetto tra il fantasmatico e l’evanescente, che una volta, quando ancora avevano l’asino [che non so se era lo stesso da cui bambino caddi sul terreno morbido e sabbioso in quel di S.Maria Orsoleo, un bel posto dove, a quel che si dice, sembra che sia sorto un non so che cosa per bambini profughi, forse in virtù di quella mia caduta], che, entrato dalla porta, l’animale quadrupede prese ad uscire dal balcone, sprovvisto di ringhiera, tanto che il saggio nonno(padre della madre del futuro poeta), ben guardandosi dal proibirgli quell’innocente spasso, fece mettere sulla piazza dei materassi perché l’asino( e in seguito anche una mula) se ne potesse servire nei suoi andirivieni e voli senza rischiare di rompersi l’osso sacro.
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