Buongiorno, mi fa. Salve, dico. “Come va”? Va come un autotreno in sosta sulla Salerno-Reggio Calabria, dico. E passo via.
Il pensiero ha voglia di uscire di strada, il pensiero è ancora lucido quando affronta l’ultima rampa e si caccia di fuori. La luce è questo giorno che m’abbaia il faro in fondo alla strada, la luce sono i cani che pisciano sui lampioni e una lastra fotografica che m’impressiona nel mondo. Un ragno scappa e risale veloce il nervo ottico, dice che sono due mesi che non esco di casa. Poi incontro le vecchiette che mi salutano e che aspettano la visita dal dottore. Dicono che il sistema sanitario non funziona e che non funziona perché c’è d’aspettare troppo. Mi piace ascoltare le vecchiette quando passano in rassegna i vicoli, le persone, le cose. L’indiscrezione è il verme che premono sull’amo, Il gozzo teso in attesa del pasto. E oggi il pasto è il sindaco che sembra non cambiare il partito, ancora polvere e problemi sparsi sull’arredamento. Gli occhi non la smettono di correre e mi indicano un modo migliore di starsene al mondo: sapere di non essere solo.
Con i vecchi esco dallo studio e partiamo di corsa verso la strada. Sembriamo dei manufatti in avorio di una corsa campestre, suppellettili di marzapane del libro Cuore. Li frego tutti sugli anni e arrivo per primo in farmacia. Qui ho un attimo di blocco perché le farmacie in generale mi provocano il singhiozzo del dilettante, sterili e asettiche come il culo di un neonato cosparso di Amuchina®. Ordino una confezione di Moment e questa volta me la cavo con poco, solo un mal di testa per la notte passata, tutto qui. Torno a casa e affronto le scale fino all’ultimo piano. La vita degli altri è ancora lì sulle scale, e forse le domando com’è che è andata.
E come vuoi che vada… pulivo le scale, non mi sono mossa di qui. Poi, con un colpo di tosse, mi spinge dentro.
Poggio il Moment sul comodino e accendo l’aspirapolvere. Mi accomodo sul divano, lo lascio andare per casa. Mi piace sentire il rumore che copre la vita.
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