Con la recente raccolta di poesie, (LietoColle, 2015), Guglielmo Aprile costruisce una specie di macchina paranoica che convoglia ed isola uno stato oppressivo. Si scorgono indizi, ombre, fantasmi, paure. La macchina viaggia nell'inconscio portando un carico pesante, cercando una via d'uscita nella poesia.
Ciò che si incontra, alla fine, è più o meno questo:
" Popolazioni sordide,/dalla parlata scurrile,/dedite a culti feroci,/le vesti stracciate, escono/dai tuguri, a una certa ora/della notte, e dilagano//nei quartieri pavimentati di marmo/dove vecchi diplomatici in gilet bianchi/con gesto lento e solenne/abbeverano canarini;//si abbandonano ad ogni/genere di intemperanze, poi/rientrano nei loro/covi sotterranei, come l'acqua/al termine di una piena;/e tutte le strade tornano sicure,/tranne una, alle spalle della stazione:/non ci ho mai messo piede lì/perché dicono ci sia nascosto/un ragno enorme."
Un viaggio onirico davvero interessante questo di Aprile che ci fa capire molte cose sulla parte più recondita di ognuno di noi.