( Musica di sottofondo: Nude, Radiohead )
Non farti nessuna grande idea, non si realizzerà
ti dipingi di bianco, ti riempi con il rumore
ma ci sarà una cosa che manca, ora che l’hai trovata non c’è più
ora che la senti non c’è più.
Hai deragliato.
( Radiohead )
In piedi, ritto, col cuore in gola che pompa a fondo, i pensieri si inerpicano dalle tempie, lo sguardo si affida al vuoto sotto di me.Non ho tempo per approfondire la paura e non ne ho nemmeno più voglia.Le gambe tremano, ma mica mi faccio vedere a tremare.La saliva che deglutisco, sembra doversi fare strada tra una colonna di tappi di sughero infilati nella trachea.Sa di ferro, come sa di ferro la mia vita, ultimamente.E’ per questo che sono qui oggi, su questo ponte e qualcosa sta già cambiando.Lo dico io, che soffro tremendamente di vertigini, da paura marcia.Come dice mio padre, con la paura che ho delle siringhe non potrei mai diventare tossicodipendente.Con la paura che ho dell’altezza, dove trovo il coraggio di fare questa cosa.Nessuno sa che sono qui.E’ una medicina amara questa, ne farei a meno se potessi.Un vento fresco raffredda la guance incandescenti, per un attimo che mi godo come infinito.Penso che quando mi staccherò dalla terra, in quella manciata di secondi, avrò altro tempo per raffreddare il fuoco che mi sta crescendo dentro.Ho un problema oscuro nello stomaco e, se riesco a tirarlo giù con me senza insospettirlo forse posso vincere, posso fregarlo.Mi sento pallido, ne provo il sapore, come nel momento in cui ci si toglie l’accappatoio e si rimane nudi, lì, un attimo prima di andare in doccia, un attimo prima di farsi investire dall’acqua bollente.
Le mani sudano, come sempre mi capita di fronte a una decisione vitale, la ringhiera del ponte si fa scivolosa alla presa e questo mi ricorda che non manca molto e mi staccherò dalla terra.Sento più intensamente il sapore di ferro in bocca, devo essermi morsicato la lingua o l’interno della guancia.Mi capita spesso anche questo.Ecco, arriva il panico, come una doccia gelata, che si diffonde dal cervello attraverso mascella e costole, giù nel coccige, nel femore, neutralizzando le rotule e scivola attraversando tibia e perone scaricandosi nei piedi che mi si informicolano e non riesco a capire se il corpo mi sta dicendo di saltare o di tornare a casa.Se ci fosse della musica ora, sarebbe composta dalle note basse di un pianoforte.Rintocchi più lenti dei battiti del cuore che mi esplode nello sterno.
Voci nell’aria mi chiamano con tono indulgente, si attorcigliano ai miei capelli.Tra pochi secondi l’attesa esploderà, in un attimo, senza bisogno di altre parole.Non c’è più tempo per rimescolare le carte, né per qualsiasi altra cosa, ora.
Nell’attimo in cui mi stacco dal ponte penso a quel mistero per me irrisolto per cui gli aerei riescono a restare in aria nonostante il loro peso, il mio invece, trapasserà l’aria in pochi secondi, troppo tardi per rimescolare le carte.Poi non riesco a pensare più a niente, mentre vede la superficie liquida sempre più vicina, quasi che mi ci specchio.A pochi metri dall’acqua, l’elastico legato ai piedi mi rispedisce verso l’alto e sento il cuore tra le tempie.Oscillo nell’aria e mi preparo a scendere ancora una volta, meno veloce.Pensavo che qualcosa di me restasse lì, a pochi metri dal filo del fiume, sospesa. Qualche illusione, un paio di sensi di colpa, un errore imperdonabile o cose così.
Mi sento più leggero, qui sospeso, ma non è quel che speravo di raggiungere oggi.
Fa.Ro.