Questa sostanziale differenza spazio-temporale si riflette in un’altra di natura squisitamente tecnica. In teatro, l’attore deve essere cassa di risonanza di sé stesso, deve amplificarsi sia vocalmente che gestualmente. La sua interpretazione dev’essere recepita in modo distinto e istantaneo, dalla prima fila all’ultima. Ovviamente, questa amplificazione dev’essere mantenuta nei limiti della credibilità dell’azione e della recitazione. L’attore cinematografico, al contrario, non è nudo di fronte al pubblico; la sua interpretazione è mediata dalla tecnologia e dall’uso che ne fa il regista. La possibilità della camera di andare sul particolare crea la necessità di un lavoro attoriale accurato sul micromovimento e sulle sfumature gestuali e vocali, elementi quasi impercettibili che in teatro andrebbero inesorabilmente persi. Prima dell’avvento del sonoro, la necessità di sopperire alla mancanza di una linea auditiva, a parte l’eventuale accompagnamento musicale esterno, ha fatto si che gli attori enfatizzassero i movimenti, estremizzando gli stereotipi del teatro naturalista. Ma già dai primi anni del sonoro, si è andati verso un progressivo asciugamento della recitazione, in senso realista e naturalista, compiutosi con l’affermazione dell’Actor Studio di Lee Strasberg, applicazione cinematografica (e anche un po’ semplificata) delle teorie portate avanti da Stanislavskij tra la fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento.
Al cinema, l’interpretazione di stampo teatrale, amplificata, può essere usata per ottenere un particolare effetto straniante o in funzione comica. Nel primo caso, il regista abbandona la naturale predisposizione del cinema all’impressione di realtà per sviluppare la sua narrazione in senso simbolico, astratto o surreale. Nel secondo, l’amplificazione evidenzia il senso del ridicolo o dell’assurdo della narrazione, favorendo la reazione divertita del pubblico. Fellini è l’esempio più luminoso di teatralizzazione dell’interpretazione cinematografica, avendone fatto uso abbondantemente e con maestria, sia in senso straniante che comico. Viceversa, un’interpretazione teatrale in una normale narrazione cinematografica, fondata sull’impressione di realtà, cozzerebbe con la fluidità del film, facendogli perdere inesorabilmente la credibilità. Di contro, l’attore teatrale che volesse rifarsi alla realtà quotidiana, dovrebbe far volgere la sua interpretazione verso la sintesi simbolica del suo agire scenico, mantenendo come orizzonte, più che l’impressione di realtà, quella dei verità e di credibilità scenica.