Come anticipato nella nostra analisi sulla colorazione del primo Color Tex, pubblichiamo un estratto di Sergio Brancato sul tema dell’importanza e dell’audacia di Bonelli Editore; nel nostro piccolo, un primo omaggio alla memoria di Sergio Bonelli, scomparso proprio oggi, 26 settembre 2011.
Bonelli è un’anomalia tutta italiana. Questo nome sigla una tra le più significative esperienze di industrializzazione dei processi culturali nel nostro Paese, ma rimanda al contempo anche a due persone e a una famiglia. La stessa parola “Bonelli” si carica di significati complessi che caratterizzano la storia dell’immaginario in Italia e altrove: si estende dall’attività creativa di quello che possiamo considerare il più importante mitografo italiano dopo Emilio Salgari al progetto imprenditoriale di un editore che ha saputo tradurre in maniera virtuosa la storia di una piccola azienda familiare, praticamente poco più di una bottega artigianale, nell’edificazione di una fabbrica capace di produrre fiction seriale attraverso meccanismi e strategie più avanzate di qualsiasi altra azienda nazionale della comunicazione.
Possiamo affermare che Bonelli indichi la singolare coincidenza tra immaginazione e fabbrica.
Caso assai raro in una nazione affetta da una forma cronica di avversione alla modernità e alle sue forme, in Bonelli confluiscono e trovano una perfetta sintesi le istanze della creatività e quelle dell’organizzazione industriale dell’immaginario.
È una storia cominciata circa settanta anni fa, quando Gianluigi Bonelli rilevò dalla SAEV di Lotario Vecchi la testata de L’Audace, rivista avventurosa assai cara alle giovani generazioni italiane degli anni Trenta, dunque di un periodo nevralgico nella costruzione della modernità metropolitana. Quella rivista costituì le fondamenta della Casa editrice che ne prese il nome, sempre per iniziativa di Bonelli padre, il quale ne delegò gli aspetti amministrativi alla moglie Tea, riservando per sé il ruolo di ideatore delle storie e delle serie pubblicate.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, la direzione passò al figlio Sergio, già affermato sceneggiatore con lo pseudonimo di Guido Nolitta, che ha avuto il merito di adeguare la Casa editrice ai cambiamenti intervenuti nell’orizzonte dei consumi culturali. Soprattutto, a Sergio si deve la definitiva affermazione di un’identità industriale del fumetto italiano, consacrando Bonelli come impresa della comunicazione audiovisiva capace di orientare il consumo culturale dei comics ben oltre le contingenze e le mode, per farlo approdare sulle sponde dei miti di massa. Dalla nostra prospettiva storica, senza la presenza caratterizzante di Bonelli il fumetto italiano è letteralmente “inimmaginabile”.
Illustrazione di Bruno Brindisi
Il nome Bonelli, dunque, rappresenta in Italia gli aspetti strutturali del medium disegnato e della sua evoluzione nelle pratiche del pubblico.
Tutto comincia con l’energia creativa di Gianluigi, straordinario narratore, autore di un numero imprecisato di romanzi popolari ispirati alla tradizione del feuilleton e dell’avventura alla Dumas. Il “patriarca del fumetto italiano“, com’è poi stato giustamente definito, comincia la sua carriera nel fumetto quasi come ripiego, o come una digressione rispetto al desiderio di lavorare per il cinema. Il suo stile si adegua progressivamente alle esigenze della comunicazione a fumetti, ma senza mai perdere del tutto l’impronta letteraria da un lato, e la suggestione cinematografica dall’altro, fino a generare una personale sintesi linguistica nello spazio semantico della tavola disegnata (sintesi che è anche snodo decisivo tra un’estetica ancora ottocentesca dell’immaginario e le mature declinazioni di questo nel Ventesimo secolo).
Mette a punto, nell’arco di non molti anni, un numero imprecisato di personaggi e serie, esplorando i termini della fattibilità di ogni genere narrativo (dal western al “cappa e spada” fino alle figurazioni più tipicamente metropolitane del poliziesco e della fantascienza) nell’economia immaginativa dei comics.
La stagione del dopoguerra è importante per molti aspetti: la fine dell’autarchia culturale, in primo luogo, un evento che porterà alla nascita di personaggi e dispositivi testuali in grado di collegare l’immaginario nazionale alle strutture profonde che motivano le grandi narrazioni dell’industria culturale planetaria (tra questi, il più importante è senza dubbio Tex); una generale ridefinizione degli assetti mediatici, che orienterà sia le estetiche che le pragmatiche della comunicazione; la ricerca (per esempio, attraverso i formati del supporto cartaceo dei comics) di un nuovo rapporto con un pubblico che esprime radicali dinamiche di mutazione nei riguardi dell’immaginario e dei suoi meccanismi di proiezione e identificazione.
La lista potrebbe continuare, ma ciò che qui interessa sottolineare è il sorgere di un mercato dei consumi culturali assai rinnovato rispetto alla fase storica precedente la Seconda guerra mondiale. Procedendo per tentativi, varando iniziative che “testano” gli spostamenti d’asse intervenuti nel gusto dei lettori-spettatori del medium, Gianluigi Bonelli rende la sua esperienza di editore-narratore un autentico laboratorio dell’innovazione seriale. Gradualmente, il suo universo immaginativo si sposta dai tenitori ancora ottocenteschi dell’avventura storica all’immaginario sovranazionale e compiutamente novecentesco del cinema hollywoodiano, rendendo Tex l’espressione di un desiderio diffuso di esperienze “liminali”, evidenziando un aspetto implicito nella moderna mitologia della frontiera, della “terra di confine”.
Quel confine, reso attraverso le forme mutevoli assunte dalle ricognizioni di Gianluigi Bonelli nelle dense costellazioni simboliche dei generi narrativi di maggior impatto, riguarda in ultima analisi la definizione dell’identità del soggetto moderno, cui il pubblico italiano partecipa con tensione sempre più palpabile.
Sergio Bonelli alla mostra "L'audace Bonelli" a Napoli
Dopo gli anni della Ricostruzione, la svolta del boom economico coincide con l’avvento della nuova generazione dei Bonelli alla guida della Gasa editrice. Intervenendo nell’assetto tra il padre Gianluigi e la madre Tea, vera mente organizzatrice della prima fase bonelliana, Sergio realizza una sostanziale modernizzazione sia dell’impianto produttivo (la fabbrica) che dell’economia immaginaria. È grazie alla sua direzione che la Bonelli si attrezza per un salto di qualità strutturale, fondato sulla capacità di interpretare il nuovo spirito del tempo e le nuove attitudini dei consumi. Il pubblico di Bonelli non è più quello della critica stagione del dopoguerra: la sua dieta mediatica si è stabilizzata e arricchita, portando il fumetto alla necessità di rielaborarsi in forme adeguate a una comunicazione in cui il cinema contiene ancora le seduzioni del Mito, ma in cui — allo stesso tempo — la televisione ridisegna profondamente la qualità della vita quotidiana.
Accanto ai due maggiori media audiovisivi, in qualche misura “compresso” dalla loro azione, il fumetto ricava i propri margini di agibilità sociale grazie alla messa a punto di modalità fruitive senza precedenti. In tal senso, l’importanza strategica di Bonelli è testimoniata dall’individuazione di modelli di serialità molto avanzati rispetto al resto del panorama editoriale italiano.
Il formato dell’albo da 100 pagine mensili stabilizza il consumo intorno a una routine che organizza il tempo di accesso del lettore all’immaginario della Casa editrice: attraverso la costruzione di una nuova temporalità del racconto seriale, la fabbrica diretta da Sergio Bonelli intercetta le nuove fisionomie della fruizione di comics e, per molti versi, modella una nuova tipologia di lettore, toccando quote altissime di copie vendute e di fruitori reali. Qui Bonelli conferma di essere una realtà produttiva in grado di mediare tra la continuità delle tradizionali linee del racconto di massa e i punti di rottura necessari a ogni logica di innovazione. È questo il nucleo di ciò che nel titolo si è definito come la “fenomenologia” di Bonelli: la capacità espressa da questa fabbrica a vocazione familiare di attraversare la dimensione generalista di un consumo culturale praticato anche nell’ambito della famiglia, restituendo solidarietà alle differenze generazionali di questa, in una ricomposizione dei suoi conflitti all’interno di una dialettica di mediazione tra stabilità istituzionali e motilità dei transiti epocali.
Angelo Stano e Dylan Dog
Tutto ciò è reso possibile dalla messa a punto di un vero e proprio sistema di produzione dell’immaginario, un’impresa flessibile basata sulla valorizzazione dei contributi creativi individuali (il caso di Tiziano Sciavi è solo il più evidente) all’interno di una filiera produttiva regolata da regole codificate che valgono tanto per gli autori quanto per i lettori (e che in realtà stabiliscono una piattaforma di mediazione tra i diversi livelli del ciclo comunicativo). L’estetica bonelliana che ri-conosciamo nelle serie di maggior successo degli ultimi anni è insieme, coerente e contraddittoria rispetto al grande calco originario di Tex, coerente per la dinamica di interazione tra ruoli e soggettività sociali, contraddittoria per il gioco insistito “contro” le convenzioni di genere. Questi aspetti hanno permesso alla Casa editrice di reggere per decenni all’interno di un processo di sostanziale ridefinizione dei media e delle relazioni interumane a essi sottese, contrastando assai meglio di altre imprese dell’immaginario l’emergere di un “nuovo” spesso dirompente (dai videogame alle inedite declinazioni dei dispositivi schermici, fino all’azione destrutturante del web), ma certo anch’essi hanno ormai fatto il loro tempo.
Tratto da:
L’audace Bonelli. L’avventura del fumetto italiano
AA.VV.
Editore Factamanent, 2010
243 pagine, brossurato, illustrato – 18,00€
ISBN: 978-8888869230