L’automobile, lo spazio e la speranza: dalla Ford “T” alla Smart

Creato il 05 gennaio 2012 da Sirinon @etpbooks

Era il 1908 quando in america uscì la prima Ford Model “T”, detta anche “Tin Lizze”, la prima prodotta in catena di montaggio, la prima che, negli intendimenti del filosofo-magnate Henry Ford, sarebbe dovuta divenire la vettura per ogni famiglia, adatta a tutte le tasche e le esigenze. E così in parte fu se è vero che ne furono costruite e vendute oltre 15 milioni ed il suo costo ottimale raggiunse la modesta cifra di circa 300 dollari a fronte di una paga media giornaliera di un operaio di 5 dollari. La cosa incredibile è che tale vettura, dalle ovvie, modeste prestazioni, aveva una cilindrata di ben 2893 centimetri cubi, uguale alle più lussuose e potenti vetture d’oggigiorno e che soltanto per tale ragione, facendo due rapidi calcoli, solamente tra tassa di proprietà e consumi, necessiterebbe quanto meno di uno stipendio da parlamentare. Erano gli inizi del 900, epici per la motorizzazione, epici per la meccanica in generale se si pensa che erano gli albori dei motori a scoppio e delle loro applicazioni, in tutti i dei trasporti. Non sarebbe stata un’epopea duratura. Crisi monetarie, e sociali, mercati turbolenti, conflitti mondiali, modificarono non necessariamente il mercato nel senso che Ford ed i suoi colleghi sognatori avevano previsto anche se non fu certo per loro una rovina, avendo spesso avuto la possibilità di convertire la loro produzione in produzione destinata ad usi bellici o industriali. Le modificazioni avvennero in virtù dell’impoverimento lento ma costante di sempre più vasti strati della popolazione, del sovraffollamento delle città che sempre più attiravano popolazione dalle campagne il cui reddito era ogni giorno più inadeguato, del costo dell’energia, specie quella di cui al tempo si era in possesso, ovvero quella derivante dal carbone e dal petrolio. Fu una instabilità che, con diverso impatto sui paesi e sulle popolazioni, venne ad avvertirsi in tutto il mondo tecnicamente più avanzato e le cui conseguenze si concretizzarono anche nella ricerca del risparmio, sia di spazio che di consumo e dunque, per logica deduzione, nei costi di esercizio.

Questa logica economica, oggi tornata tanto di moda per la costante fase di recessione che attanaglia un poco tutto quell’occidente allargato e che coinvolge anche il colosso russo, già a partire dagli anni trenta del novecento, reduci dai disastri economici di Stati Uniti e Germania aveva iniziato ad indirizzare anche la ricerca tecnologica e quindi, per estensione, la progettazione delle autovetture. Iniziano ad essere pubblicizzati modelli nettamente in controtendenza con le cromate, avveniristiche ed imponenti carrozzerie che avevano segnato, come opere d’arte oltre che d’ingegno, la crescita dell’industria automobilistica ed appaiono i primi modelli di piccole dimensioni, dai bassissimi consumi ma che avrebbero potuto, pur nella ristrettezza degli spazi che venivano messi a disposizione di conducente e trasportati, rinnovato quella speranza di potersi permettere un mezzo di trasporto, costantemente in testa alle classifiche degli oggetti che distinguevano un minimo benessere da una semipovertà. Uno di quegli oggetti, come diventerà poi la televisione ed il telefonino che svilupperanno un potere, quasi fossero vivi, tale da identificare nel proprio modello, colore, marca ed accessori, l’inquadramento sociale ed economico del proprietario e, di conseguenza - ahimé - molto spesso anche, facendolo divenire simbolo del simbolo, destinando all’oggetto acquistato la capacità di identificare nel soggetto proprietario lo status di mèta, di obiettivo, secondo quella legge dell’emulazione che ha riempito il mondo più di gonzi che di ricchi, dimostrando pertanto quanto sia fasulla.Vari comunque furono i motivi che fecero sorgere questa sorta di nuova industria nei pesi già industrializzati, Italia compresa.

Gli Stati Uniti dovevano ritrovare lo slancio iniziale di Ford, la Germania doveva uscire dalla crisi della propria recessione ed il primo Maggiolino della Volkswagen (che tradotto vuol dire “vettura del popolo”) uscito nel 1938 servì parzialmente allo scopo economico e moltissimo invece a quello politico, divenendo strumento dell’ascesa inarrestabile di un certo Hitler che aveva promesso, riuscendo ancora una volta, a mettere a disposizione del popolo una vettura del costo di soli 990 marchi, pari a circa 4.000 degli odierni euro. Il pater nuovae germaniae, immediatamente venne emulato da certo nostrano Benito il quale in verità, già in epoca precedente - pare del 1930 - covava l’idea di una vettura popolare che non superasse il costo di 5.000 delle allora lire italiane. Neanche a smentirsi, l’obiettivo non venne raggiunto e la prima “ Fiat Topolino” che uscì costava ben 8900 lire ovvero circa 4.500 euro. Ma la differenza era ben altra: se un cittadino tedesco poteva permettersi un Maggiolino con 5 mesi di stipendio, ad un italiano ne servivano circa venti. La guerra che seguì accelerò ulteriormente questo processo anche perché allo stato di prostrazione con il quale tutta l’Europa era uscita dalla guerra, le industrie che si erano provvisoriamente convertite in industrie al servizio bellico, necessitavano di ritrovare una clientela civile alla quale poter offrire prodotti abbordabili e pertanto, fu inevitabile percorrere ancor più pervicacemente la strada del minimalismo sia degli spazi che dei consumi. Proliferarono dunque modelli e prototipi da tutte le più grandi firme industriali, di tutti i paesi, non solo i quelli, devastati d’Europa o il Giappone ma anche gli Stati Uniti il cui sforzo in termini economici e sociali, pur non avendo subito invasione territoriale (ad esclusione dell’incursione su Pearl Harbour) non erano stati meno pesanti. Le piccole vetturette dunque divennero simbolo di una rinascita tanto che alcuni modelli, sorti nell’immediato dopoguerra, verranno poi prodotti fino quasi alla fine del secolo scorso. Basti pensare all’impatto della 500 in Italia, del Maggiolino e della Prinz in Germania, della Mini in Inghilterra, della Citroen 2CV in Francia (anche se le sue dimensioni la ponevano al limite della categoria). Per non parlare di modelli da noi meno conosciuti che le case automobilistiche dell’est europeo produssero o, addirittura, la Nipponica Mitsubishi che era a dismisura cresciuta durante la guerra con la fabbricazione degli aerei da caccia Zero, al pari di modelli tedeschi che frettolosamente mise in produzione la Messerschmitt, anch’essa leader nella produzione di aerei da combattimento.

In buona parte questo sforzo riuscì nel duplice intento di ridare speranza e, contestualmente di rilanciare i consumi e con essi l’economia tutta. Anche se, dapprima inavvertibilmente e poi sempre più apertamente si delineava un cambiamento nella filiera produttiva ovvero il fato che il costo della mano d’opera per l’assemblaggio e la vendita delle vetture iniziava percentualmente a superare di gran lunga il costo dei materiali necessari alla fabbricazione ovvero il prezzo dell’auto (così come d’altronde di quasi tutti i beni) veniva sempre più determinato dal costo sociale relativo all’impiego umano che non alle materie impiegate ed a nulla è valsa la crescita tecnologica laddove anch’essa ha portato con sé costi il cui ammortamento talvolta ne mette quasi in discussione l’utilità (almeno quella economica).

L’iperbole della crescita si è dunque fermata - come sappiamo – ma non l’idea della miniauto, oggi apprezzabilissima in modelli circolanti (oltre che in tantissimi prototipi), prima tra tutti la Smart, il cui scopo tuttavia è tutt’altro che quello populista dei dittatorelli dell’epoca né tanto meno si avvicina alla quasi virginea filosofia dell’antesignano Ford. Certo le istanze che sottintendono la ricerca si mascherano di buoni intendimenti come il risparmio energetico, le fonti alternative, il contenimento dell’occupazione degli spazi urbani ma, da un sistema che ha volutamente taciuto sui motori elettrici, ad acqua ed a idrogeno che ben tutti sappiamo esistenti e funzionanti da decenni e decenni, mi riservo di mantenere un moderato riserbo in merito alla fiducia da concedergli anche se, invero, mi pare che, almeno in parte, sia sia strozzato con le proprie mani e, pertanto, si sia da sé scelto la strada. E non si illuda, una volta ancora, di aver scoperto niente di nuovo. Anzi: in una cosa sono riusciti, a parità di dimensioni sono riusciti a raddoppiarne il prezzo ovvero a renderle molto più care in relazione al quel tragicomico indice economico che si chiama potere d’acquisto. 


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