13 dicembre 1966
Possiamo, adesso, fare noi, a nostra volta, senza nessuna presunzione, e senza molta speranza che venga accolta, una proposta? Vorremmo che la Milano-Torino venisse battezzata "Autostrada delle Alpi". Nelle belle giornate d'inverno, crediamo fermamente che nessuna strada o autostrada, nel mondo intero, possa vincere, per la bellezza del paesaggio, la Milano-Torino.Già Samuel Butler, a pagina 168 del suo Alpi e Santuari che, lo so. non mi stanco mai di citare, parlando, nel 1881, della strada ferrata tra Milano, Santhià e Torino (strada ferrata che segue lo stesso percorso e gode gli stessi sfondi dell'odierna autostrada) dice che "the view of the Alps, in clear weather, cannot be surpassed": la veduta delle Alpi, con un tempo sereno, non può essere superata.Non sarebbe la prima volta che ignoriamo le bellezze a noi più vicine, le più comuni, quelle che sarebbe più facile godere.Ripetiamo: la stagione migliore, per questo spettacolo straordinario, meraviglioso, unico al mondo, e l'inverno: una giornata serena d'inverno. L'ora migliore è verso il mezzogiorno, quando il sole, con un'inclinazione di circa 45 gradi, batte in pieno sull'arco alpino, e illumina "di taglio" le anfrattuosità dei costoni, delle valli, delle creste. Il punto migliore, il tratto dell 'autostrada dove la bellezza dello spettacolo raggiunge il suo massimo, è al casello di Balocco: il momento, cioè, dove l'autostrada e più vicina alle montagne: o, almeno, dove "sembra" più vicina alle montagne, per chi va da Milano a Torino.I colori sono di una delicatezza indicibile: soltanto Guglielmo Ciardi, in certi paesaggi del Grappa e delle prealpi venete, ha saputo fissare in un'opera pittorica accostamenti e sfumature che possono paragonarsi all'incanto di questa realtà.Le tinte sono disposte in lunghissimi, interminabili strati orizzontali. Cominciando dal basso e dai "primi piani" e risalendo, strato per strato, verso l'alto e verso l'infinito, tentiamo un elenco.Prati, quando non brinati: verdegiallo splendente. Prati brinati: verdeghiaccio. Alternate con i prati dell'uno e dell'altro verde, risaie e campi arati. Le risaie, o piuttosto le distese delle stoppie delle risaie, sono beige: crema, se volete. E i campi arati: rosa. Le macchie dei pioppeti: un arruffio lievissimo, e, anche quello, beige o crema. Altri alberi: ricami bruni. E, qua e la, sparsi, i rettangoli dei cascinali: muri alcuni bianchi e altri giallini, mentre i tetti sono di un bel rosso rugginoso, vinoso, come di vecchia barbera, scura e tuttavia rossa con del giallo dentro. Le prime lontananze, le prime dolcissime ondulazioni collinose, e coperte di boschi o di vigne, sono nettamente violette. Più in su, le prime prealpi sono ardesia: più in su ancora, gradatamente, cenere. Le montagne: bianchissime di neve. Ma le creste sono ben delineate e gli spigoli ben segnati dal sole, e da nette ombre azzurre. Appare, con un'evidenza che lascia senza fiato lo spettatore, la struttura misteriosamente e fatalmente geometrica delle vette: enormi cristalli candidi e azzurri: azzurri nelle ombre, nel sole candidi. II cielo è celeste-chiaro. Ma la, se andiamo da Milano a Torino, la verso sud-ovest, a sinistra e sopra la sempre visibile cuspide del Monviso, il cielo è celeste-verdino. Si vede, si sente, si capisce da quella luminosità particolarissima che la c'è il mare.
Filippo Spadoni.