Si è giocato in casa, lunedì 1 luglio, alla Fondazione Corriere della Sera, a Milano, dove è stato presentato il libro La casa di vetro. Comunicare l’azienda nell’era digitale, Rizzoli Etas, di cui sono autori Gianni Di Giovanni docente in Media Relation e Comunicazione d’impresa alla Cattolica e Stefano Lucchini, Presidente di Eni USA, docente di Comunicazione d’Impresa e giornalismo sempre alla Cattolica.
Oltre ai due autori, c’erano l’immancabile Ferruccio De Bortoli, l’economista Geminello Alvi, Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale. Ah… dimenticavo, nel pubblico anche Renato Mannheimer.
Comunicare l’azienda nell’era digitale. Chi vorrà leggere il libro – un po’ saggio un po’ manuale - scoprirà riflessioni interessanti, casi pratici e, soprattutto, una raccolta di regole orientate a spiegare con chiarezza le modalità con cui oggi le aziende, anche le più piccole, devono comunicare e informare il mercato.
Il dovere della trasparenza. L’impresa deve essere trasparente perché è sotto gli occhi di tutti, e da tutti riceve sollecitazioni a spiegare le proprie scelte, giustificare gli errori, motivare le strategie, descrivere i propri prodotti, svelare i processi produttivi. Fare tutto questo, e farlo bene, è una questione non tanto di scelta di strumenti, ma di atteggiamento.
Ma la rete è….maleducata. “La rete ci smaschera” ha detto Ferruccio De Bortoli “perché essa non si accontenta di nulla: nutre il mito della trasparenza assoluta. Passeggiare nel web è come passeggiare in una piazza affollata, vedi un passante che ti si avvicina…ti sorride, poi improvvisamente ti dà uno schiaffo e se ne va”. Questo può capitare, ha spiegato, quando scrivi un post o un tweet e ti giunge inatteso da uno sconosciuto, un insulto o un commento al limite della maleducazione.
Ma la rete è… un rischio. Credibilità, autorevolezza, competenza sono i caratteri fondamentali della comunicazione in rete. Che, ha spiegato Gianni Di Giovanni, è un ambiente dispersivo. Non solo: lavorare in rete è un grande rischio per un’azienda. Ecco perché è fondamentale salvaguardare la propria reputazione.
Ma la rete è…un demone. Avere grandi consensi sul web non corrisponde necessariamente a una buona reputazione, questa va creata dall’azienda attraverso una gestione corretta del flusso informativo. E purtroppo, ha detto Geminello Alvi “ le persone sul web spesso danno il peggio di sé: in rete esplode il demone, occorrerebbe poter ripristinare la fraternità come valore associativo”.
Ma la rete è…un puttanaio. Renato Mannheimer, chiamato a dire la sua, ha spiegato che spesso le aziende vogliono sapere dagli istituti ‘cosa pensa la rete, quali sono gli umori “sottovalutando il fatto che la rete è una cosa, i social sono un’altra: spesso un puttanaio”
Pensieri fuoricorso. A presentare un libro che istruisce le aziende su come affrontare la rete erano, a occhio e croce, tutte persone nate più o meno negli anni Quaranta, inizio Cinquanta. Non si sarebbe potuto invitare almeno un giovane nativo digitale…che magari avrebbe raccontato qualcosa di buono dei social? E non sarebbe stato opportuno concentrarsi, e concentrare il dibattito, sugli aspetti positivi del web…e non parlare della rete come di un male necessario?
Riusciranno mai i nostri eroi imprenditori e giornalisti maschi ad avere coscienza del fatto che sono sempre loro a parlare di tutto, senza che mai fiorisca nella loro mente l’idea di invitare una donna, perché esprima magari un punto di vista diverso su queste faccende?
A proposito del puttanaio. www- ossia world wide web – è un diretto riferimento alla lettera ebraica Vav (w) che in ebraico corrisponde a un preciso valore numerico, cioè al numero 6. Il numero sei simboleggia l’imperfezione umana, il limite, e per dirla in termini religiosi… l’inimicizia con Dio. Quando siamo in rete siamo in www, ovvero siamo tre volte 6, tre volte limitati, tre volte imperfetti. Ma dobbiamo esserci, e devono esserci le aziende.