di Loredana M.
“Mi chiamo Bravo e non ho il cazzo”.
Questo è più un noir, ambientato nella “Milano da bere” degli anni ’70, nel periodo esatto del rapimento Moro; un noir in cui il protagonista non è l’incorruttibile poliziotto, l’uomo che non deve chiedere mai, ma è un improbabile “venditore di donne”, uno che potrebbe semplicisticamente essere etichettato come “cattivo”, e che invece diventa, nella penna e nella scrittura di Faletti, un eroe al contrario, uno che si è fatto da sè, uno che ha, nonostante tutto, un suo particolare codice morale; uno che, insomma, andando avanti nel racconto, si fa quasi fatica a odiare.
Dopo aver amato Io uccido, e constatato con amarezza che gli altri romanzi non erano all’altezza del primo, ammetto di essere rimasta piacevolmente sorpresa da questa svolta noir tutta italiana, un romanzo in cui, come da tradizione, “niente è come sembra”, ma che riesce ugualmente a spiazzare, e a risultare originale, così come ho trovato originale e piacevole (ma forse solo perchè è una mia grande passione oltre alla lettura) la presenza della “guest-star” che vanta innumerevoli tentativi d’imitazione: la “Settimana Enigmistica” e le sue splendide crittografie mnemoniche, in funzione di “semplici” giochini mentali sparsi qua e là tra le pagine, ma anche come metafora della vita e delle sue molteplici sfaccettature… il caos e il caso, non necessariamente in quest’ordine…
Appunti di un venditore di donne, di Giorgio Faletti
(ed. B.C. Dalai, 2010, pp. 397, ISBN 9788860735393)