Le teorie economiche classiche prescrivono specializzazione: quando le persone, le industrie o i singoli paesi si specializzano in una certa attività aumentano la propria efficienza economica in quanto, occupando una certa nicchia produttiva, possono sviluppare delle capacità particolari che gli permettono di acquisire un vantaggio nella competizione. Negli ultimi anni diversi gruppi di studiosi provenienti da diverse discipline, e in particolare fisici ed economisti, hanno analizzato le banche dati disponibili dei prodotti esportati dai vari paesi e sono giunti alla conclusione che questo paradigma non è verificato nei dati.
Il risultato empirico dimostra, infatti, che i paesi di successo sono caratterizzati da una produzione estremamente diversificata, piuttosto che da una specializzazione particolare. La conclusione è che il mercato fortemente dinamico del mondo globalizzato rende la flessibilità e l’adattabilità gli elementi essenziali della competitività. In questo senso si può pensare a un’analogia con i biosistemi in evoluzione in un ambiente dinamico e competitivo in cui la diversificazione di capacità è la chiave per la sopravvivenza. Questa situazione ha dato impulso alla ricerca di un metodo di valutare quantitativamente il vantaggio competitivo non monetario della diversificazione, che rappresenta il potenziale nascosto per lo sviluppo e la crescita (chiamata “fitness”), da affiancare alla variabile monetaria più generalmente considerata, il prodotto interno lordo (Pil). Sono state dunque introdotte nuove metriche per misurare la “fitness” dei paesi e la complessità dei prodotti. L’informazione fornita da queste metriche può essere utilizzata in vari modi; ad esempio, il confronto diretto del fitness con il Pil di un paese fornisce una valutazione del potenziale non espresso del paese.
I paesi che producono i prodotti tecnologicamente più avanzati sono anche quei paesi che producono più prodotti in genere: hanno una maggiore diversificazione sul mercato e dunque una maggiore capacità produttiva. Invece, i paesi che producono pochi prodotti, sono produttori di beni prodotti da tanti altri paesi. Per questo motivo una risorsa fondamentale di ogni paese è determinata dalla diversificazione della sua struttura produttiva che determina la potenzialità di sviluppo. In ultima analisi questa è legata allo sviluppo infrastrutturale materiale e di conoscenze di ogni paese che è rappresentato dall’insieme delle capacità produttive, delle materie prime, del livello di istruzione medio, della qualità dell’istruzione avanzata e del sistema di ricerca, delle politiche del lavoro, della capacità di trasferimento tecnologico dall’accademia al sistema produttivo, del livello di walfare sociale, di una burocrazia e di un sistema di leggi efficienti. In pratica di tutto ciò che concorre a creare un’ambiente adatto allo sviluppo economico. I beni si possono importare o esportare, mentre queste “capacità” sono intrinseche a ogni paese.
Un paese che ha più capacità produttive ha anche più potenzialità di produrre prodotti nuovi e competitivi sul mercato per un semplice motivo combinatorio: la produzione di un nuovo prodotto avviene dalla composizione di alcune “capacità”. In questo senso la potenzialità di sviluppo è legata alla complessità del sistema produttivo. Più numerose sono le capacità e più sono le combinazioni potenziali e dunque i nuovi possibili prodotti. Inoltre quante più “capacità” un paese ha già a disposizione, tanto più l’aggiunta di una nuova “capacità”, per esempio proveniente da una scoperta in ricerca fondamentale, può dar lungo, per lo stesso argomento combinatorio, allo sviluppo di nuovi prodotti validi sul mercato.
Mentre la conclusione di quest’analisi sembra ovvia, un paese che produce beni molto diversificati, in cui vi sia una conoscenza diffusa nella popolazione con un alto livello di sviluppo civile diffuso, ha una potenzialità di sviluppo maggiore di un paese molto specializzato in un singolo settore e con poche “capacità” diffuse, la situazione non è così semplice: da una parte si ha la possibilità di misurare delle quantità che non sono banalmente riconducibili alle solite variabili monetarie (il Pil) e dall’altra si può contrastare con solidi e quantitativi argomenti chi pensa che “L’Italia non ha un futuro nelle biotecnologie perché purtroppo le nostre università non sono al livello, però ha un futuro nel turismo”.
Francesco Sylos Labini per il fatto quotidiano
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